Turchia e Iran: i legami che li legano

Mentre la Turchia cerca di armonizzarsi con l’Iran e la Russia, una lotta interna si sviluppa tra il Premier e i gulenisti, che possono minacciare il processo. Se si deve credere alla leadership dell’AKP, sarebbero parte di una cospirazione straniera per abbatterla.

Sul conflitto in Siria, il governo del primo ministro dell’AKP (Partito Giustizia e Sviluppo) Recep Tayyip Erdogan di Ankara è dall’altra parte della barricata rispetto Teheran e Mosca, ma la profondità dei rapporti turchi con l’Iran e la Russia va oltre ciò.

La Turchia è legata non solo all’Iran e alla Russia geograficamente e per la secolare storia comune, ma condividono anche rapporti commerciali, culturali, linguistici ed etnici. Sebbene le politiche e relazioni politiche turche con l’Iran e la Russia sono soggette a fluttuazioni, i numerosi legami che legano la società turca ad essi non possono essere annullati, compresa la realtà dei loro legami economici.

Teheran e Mosca sono due dei più importanti partner commerciali ed energetici della Turchia. Oltre alla Germania, in termini di esportazioni ed importazioni turche, il volume commerciale con Iran e Russia è pari, a titolo di confronto, a tutti i rapporti commerciali di Ankara con gli altri Paesi.

Comprendendo l’importanza dei rapporti economici turchi con l’Iran, è importante notare che le sanzioni unilaterali degli Stati Uniti e dell’Unione Europea previste contro l’Iran hanno danneggiato l’economia turca. I turchi hanno bisogno dell’energia iraniana, gas naturale e petrolio. Quando il governo degli Stati Uniti chiese ad Ankara di ridurre le importazioni energetiche dall’Iran, fondamentalmente si aspettava che il governo turco danneggiasse consapevolmente l’economia turca per l’agenda di Washington.

Anche sotto le sanzioni degli USA contro l’Iran, come forma manipolazione economica e bellica, le imprese turche e il governo dell’AKP fecero del loro meglio per mantenere i rapporti economici ed energetici con l’Iran. Ciò fu fatto apertamente e segretamente. La Turchia agì anche da canale segreto dell’Iran nell’eludere le sanzioni degli Stati Uniti e dell’Unione europea. Tra le altre cose, lo scandalo sulla corruzione che coinvolge il capo della statale Halk Bankasi (Banca Popolare), o Halkbank, emerso il 17 dicembre 2013, è un riflesso della continuazione delle attività economiche e commerciali tra la Turchia e l’Iran. Le vendite dell’Iran sono state discretamente facilitate dalla banca turca attraverso l’acquisto di oro consegnato a Teheran in pagamento al posto delle valute, dopo che a Teheran fu impedito l’uso del sistema internazionale di trasferimento del denaro SWIFT, nel marzo 2012. Halkbank sostiene che le operazioni erano legali e che nessuna norma impediva la negoziazione di metalli preziosi con l’Iran fino a luglio 2013, cessandole il 10 giugno 2013.

La lotta per il potere in Turchia emerse. Lo scandalo della Halkbank n’è un sottocomplotto e sintomo. Non solo le recenti indagini sulla concussione riflettono la diffusa corruzione del governo in Turchia, ma illumina il braccio di ferro nell’AKP e, più in generale, nell’élite turca, nel dirigere la Repubblica di Turchia.

Neo-ottomanismo: l’inverno della politica estera turca

Dal 2011, il danno economico alla Turchia causato dalle sanzioni contro l’Iran s’è aggravato con gli  errori di calcolo e gli incidenti interni turchi. In gran parte, tali errori di calcolo furono il risultato della metamorfosi della politica estera del ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu, dalla politica estera ‘zero problemi” a quella più aggressiva ‘neo-ottomana’.

I politici turchi credevano che la cosiddetta primavera araba avrebbe fatto di Ankara un’indiscussa potenza regionale dal Marocco all’Iraq. Tali punti di vista turchi furono anche incoraggiati dagli Stati Uniti e dall’UE, promuovendo il cosiddetto ‘modello turco’ presso gli arabi, che con il supporto del governo dell’AKP, passava dalla politica di ‘zero problemi’ alla ricerca del sogno neo-ottomano dell’incontrastata supremazia economica e politica turca sul mondo arabo.

Attraverso la sua impresa neo-ottomana, Ankara si allontanò dall’asse Ankara-Damasco-Teheran, che andava formandosi e compiva progressi in Libia, la Siria, Iraq e Libano. Una specie d’inverno s’impose ad Ankara sugli affari esteri. Le relazioni turche alla fine s’inasprirono con quasi tutti i Paesi confinanti e si ebbero rapporti gelati con Teheran e il Cremlino.

La politica estera neo-ottomana fu avviata con il sostegno del governo turco alla guerra e alle operazioni di cambiamento di regime della NATO a Tripoli, che infine interruppe il commercio turco con Libia. Anche se il governo turco fingeva di essere contro la guerra, Ankara non pose alcun veto ai piani di guerra della NATO al Consiglio del Nord Atlantico a Bruxelles. Invece la Turchia sostenne la no-fly zone imposta dalla NATO, partecipando attivamente all’embargo navale sulle coste libiche, presidiando l’aeroporto di Bengasi come autorità provvisoria della NATO e aiutando le forze anti-governative libiche in diversi modi.

In conseguenza delle azioni del governo turco, i rapporti economici turchi con la Libia non si ripresero più dalla guerra della NATO nel 2011, per via dei danni e dell’instabilità dell’economia libica.

Gli avvenimenti in Libia furono seguiti dalla  sospensione del commercio turco con la Siria, un altro importante partner commerciale.  L’interruzione del commercio con la Siria comportò il sostegno sconsiderato di Erdogan al cambio di regime a Damasco. Per tutto il tempo, le relazioni della Turchia con l’Iraq, altro importante partner commerciale turco, degenerarono per via della prepotenza ed arroganza di Erdogan e dell’AKP. Ankara riteneva che l’influenza iraniana nel Levante e Mesopotamia verrebbe sostituita dall’influenza turca, continuando a spingere i suoi accoliti a rovesciare i governi di Damasco e Baghdad.

Anche quando il governo dell’AKP vide che la formidabile alleanza eurasiatica formata da Russia, Iran e Cina non mollava Damasco davanti l’insurrezione antigovernativa sostenuta da Turchia e alleati della NATO e del GCC, Erdogan continua il suo corso contrario a Damasco, invece di cercare d’invertire la disastrosa politica in Siria di Ankara.

A parte il danno economico che l’AKP infligge alla Turchia, l’instabilità che suscita in Siria addestrando, ‘armando e finanziando gli insorti in Siria, comincia ad avere conseguenze politiche e di sicurezza anche in Turchia.

Mentre l’economia turca inizia a perdere colpi, le tensioni politiche interne montano e la disparità causata dalle politiche economiche neoliberiste dell’AKP si approfondisce mentre l’AKP agisce sempre più in modo autoritario nel proteggere la propria autorità. In una certa misura, la protesta del Parco Gezi esplosa da Istanbul alla Turchia, nel 2013, è un riflesso dell’avvio di tali tensioni interne.

Articolo originariamente pubblicato su Russia Today, 20 gennaio 2014.

Traduzione di Alessandro Lattanzio.


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About the author:

An award-winning author and geopolitical analyst, Mahdi Darius Nazemroaya is the author of The Globalization of NATO (Clarity Press) and a forthcoming book The War on Libya and the Re-Colonization of Africa. He has also contributed to several other books ranging from cultural critique to international relations. He is a Sociologist and Research Associate at the Centre for Research on Globalization (CRG), a contributor at the Strategic Culture Foundation (SCF), Moscow, and a member of the Scientific Committee of Geopolitica, Italy.

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