Summit Nato, si rafforza il partito della guerra

Macron ha parlato di «morte cerebrale» della Nato, altri la definiscono «moribonda». Siamo dunque di fronte a una Alleanza che, senza più una testa pensante, si sta sgretolando per effetto delle fratture interne? I litigi al Summit di Londra sembrano confermare tale scenario. Occorre però guardare alla sostanza, ai reali interessi su cui si fondano i rapporti tra gli alleati.  

Mentre a Londra Trump e Macron polemizzano sotto gli occhi delle telecamere, in Niger senza tanta pubblicità lo US Army Africa (Esercito Usa per l’Africa) trasporta con i suoi aerei cargo migliaia di soldati francesi e i loro armamenti in diversi avamposti in Africa Occidentale e Centrale per l’Operazione Barkhane, in cui Parigi impegna 4.500 militari, soprattutto delle forze speciali, con il sostegno di forze speciali Usa anche in azioni di combattimento. Contemporaneamente i droni armati Reaper, forniti dagli Usa alla Francia,  operano dalla Base aerea 101 a Niamey (Niger). Dalla stessa base decollano i  Reaper della US Air Force Africa (Forza aerea Usa per l’Africa), che vengono ora ridislocati nella nuova  base 201 di Agadez nel nord del paese, continuando a operare di concerto con quelli francesi. 

Il caso è emblematico. Stati uniti, Francia e altre potenze europee, i cui gruppi multinazionali rivaleggiano per accaparrarsi mercati e materie prime, si compattano quando sono in gioco i loro interessi comuni. Ad esempio quelli che hanno nel Sahel ricchissimo di materie prime: petrolio, oro, coltan, diamanti, uranio. Ora però i loro interessi in questa regione, dove gli indici di povertà sono tra i più alti, vengono messi in pericolo dalle sollevazioni popolari e dalla presenza economica cinese. Da qui la Barkhane che, presentata come operazione anti-terrorismo, impegna gli alleati in una guerra di lunga durata con droni e forze speciali

Il più forte collante che tiene unita la Nato è costituito dai comuni interessi del complesso militare industriale sulle due sponde dell’Atlantico. Esso esce rafforzato dal Summit di Londra. La Dichiarazione finale fornisce la principale motivazione per un ulteriore aumento della spesa militare: «Le azioni aggressive della Russia costituiscono una minaccia per la sicurezza Euro-Atlantica». Gli Alleati si impegnano non solo a portare la loro spesa militare almeno al 2% del Pil, ma a destinare almeno il 20% di questa all’acquisto di armamenti. Obiettivo  già raggiunto da 16 paesi su 29, tra cui l’Italia. Gli Usa investono a tale scopo oltre 200 miliardi di dollari nel 2019. I risultati si vedono. Il giorno stesso in cui si apriva il Summit Nato, la General Dynamics firmava con la US Navy un contratto da 22,2 miliardi di dollari, estendibili a 24, per la fornitura di 8 sottomarini della classe Virginia per operazioni speciali e missioni di attacco con missili Tomahawk anche a testata nucleare (40 per sottomarino).

Accusando la Russia (senza alcuna prova) di aver schierato missili nucleari a raggio intermedio e aver così affossato il Trattato Inf, il Summit decide «l’ulteriore rafforzamento della nostra capacità di difenderci con un appropriato mix di capacità nucleari, convenzionali e anti-missilistiche, che continueremo ad adattare: finché esisteranno armi nucleari, la Nato resterà una alleanza nucleare». In tale quadro si inserisce il riconoscimento dello spazio quale quinto campo operativo, in altre parole si annuncia un costosissimo  programma militare spaziale della Alleanza. È una cambiale in bianco data all’unanimità dagli Alleati al complesso militare industriale. 

Per la prima volta, con la Dichiarazione del Summit, la Nato parla della «sfida» proveniente dalla crescente influenza e dalla politica internazionale della Cina, sottolineando «la necessità di affrontarla insieme come Alleanza». Il messaggio è chiaro: la Nato è più che mai necessaria a un Occidente la cui supremazia viene oggi messa in discussione da Cina e Russia. Risultato immediato: il Governo giapponese ha annunciato di aver comprato per 146 milioni di dollari l’isola disabitata di Mageshima, a 30 km dalle sue coste, per adibirla a sito di addestramento dei cacciabombardieri Usa schierati contro la Cina.

Manlio Dinucci


Articles by: Manlio Dinucci

About the author:

Manlio Dinucci est géographe et journaliste. Il a une chronique hebdomadaire “L’art de la guerre” au quotidien italien il manifesto. Parmi ses derniers livres: Geocommunity (en trois tomes) Ed. Zanichelli 2013; Geolaboratorio, Ed. Zanichelli 2014;Se dici guerra…, Ed. Kappa Vu 2014.

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