Settanta anni fa, dicembre 1941: la svolta nella II Guerra Mondiale

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La vittoria dell’Armata Rossa davanti a Mosca fu il momento decisivo…

 

Settanta anni fa, dicembre 1941:

la svolta nella II Guerra Mondiale

 

di Jacques R. Pauwels,

autore de Il Mito della Guerra Buona, Datanews, Roma, 2003.

                                                                                 
Global Research, 6 dicembre 2011

La Seconda Guerra Mondiale, almeno per quanto riguarda il teatro europeo, iniziò con la travolgente avanzata dell’esercito tedesco in Polonia nel settembre 1939. All’incirca sei mesi più tardi, a questa seguirono vittorie persino più spettacolari, in questo caso nel Benelux e in Francia. Nell’estate del 1940, la Germania sembrava invincibile e destinata a governare il continente europeo per un tempo indefinito. (La Gran Bretagna, veramente, si era rifiutata di gettare la spugna, ma non poteva sperare di vincere la guerra da sola e temeva che presto Hitler avrebbe rivolto la sua attenzione a Gibilterra, l’Egitto e/o altri gioielli della corona dell’Impero Britannico.) Cinque anni più tardi, la Germania sperimentò il dolore e l’umiliazione della disfatta totale. Il 20 aprile 1945, Hitler si suicidò a Berlino nel momento in cui l’Armata Rossa si spianava la via nella città, già ridotta a cumuli di rovine fumanti, e l’8 e il 9 maggio i tedeschi si arresero incondizionatamente. È chiaro che, in qualche momento tra il 1940 e il 1944, la marea aveva invertito il suo corso in modo piuttosto drammatico. Ma quando e dove ? In Normandia, nel 1944, secondo alcuni; a Stalingrado, durante l’inverno del 1942-43, secondo altri. In realtà, la marea s’invertì nel dicembre 1941, in Unione Sovietica, più specificamente nell’arida pianura poco ad occidente di Mosca. Come ha affermato uno storico tedesco, un esperto della guerra contro l’Unione Sovietica: “La vittoria dell’Armata Rossa [di fronte a Mosca] fu indiscutibilmente la più importante svolta [Zäsur] di tutta la guerra mondiale.”1

            Che l’Unione Sovietica sia stata la scena della battaglia che cambiò il corso della Seconda Guerra Mondiale, non dovrebbe assolutamente costituire una sorpresa. La guerra contro l’Unione Sovietica era la guerra che Hitler aveva voluto fin dall’inizio, come aveva apertamente affermato nel Mein Kampf, scritto alla metà degli anni venti. ( Ma una Ostkrieg, una guerra all’est, ossia contro i sovietici, era anche l’oggetto del desiderio di generali tedeschi, dei più importanti industriali e di altri “pilastri” dell’establishment germanico.) In effetti, come ha recentemente dimostrato uno storico tedesco2, era una guerra contro l’Unione Sovietica, e non contro Polonia, Francia o Gran Bretagna, quella che Hitler aveva voluto scatenare nel 1939. L’11 agosto di quell’anno, Hitler spiegò a Carl J. Burckhardt, un funzionaro della Società delle Nazioni, che “qualsiasi iniziativa intrapresa era rivolta contro la Russia,” e che “se l’Occidente [ovvero i francesi e gli inglesi] è troppo stupido e troppo cieco per capirlo, egli sarebbe stato costretto o trovare un’intesa con i russi, volgersi a battere l’Occidente e poi girarsi di nuovo con tutta la sua forza per infliggere una mazzata definitiva all’Unione Sovietica.”3 E questo, in effetti, è avvenuto. L’Occidente si rivelò “troppo stupido e cieco”, secondo Hitler, per concedergli “mano libera” all’est, così egli fece un accordo con Mosca – l’infame Patto Hitler-Stalin – e scatenò la guerra contro la Polonia, la Francia e l’Inghilterra. Il suo obiettivo, tuttavia, rimaneva lo stesso: attaccare e distruggere l’Unione Sovietica quanto prima possibile.

Hitler e i generali tedeschi erano convinti di avere imparato un’importante lezione dalla Prima Guerra Mondiale. Priva delle materie prime indispensabili a vincere una guerra moderna, come petrolio e gomma, la Germania non avrebbe potuto avere successo in un conflitto che si fosse trascinato per le lunghe. Per vincere la prossima guerra, i combattimenti avrebbero dovuto essere rapidi, molto rapidi. Questa è l’origine dell’idea di Blitzkrieg, ossia l’idea di una guerra (krieg) veloce come il lampo (Blitz). Blitzkrieg significava guerra motorizzata e pertanto, in preparazione di un conflitto di questo tipo, nel corso degli anni trenta la Germania produsse in serie un imponente numero di mezzi corazzati e aerei, ma anche di autocarri per il trasporto truppe. Inoltre, gigantesche quantità di carburante e gomma vennero importate e accumulate come riserve. La grande parte di questo carburante venne acquistato da società americane, alcune delle quali gentilmente fornirono la “ricetta” per produrre olio sintetico a partire dal carbone.4 Nel 1939 e 1940, questa dotazione consentì alla Wehrmacht tedesca e alla Luftwaffe di travolgere le difese polacche, olandesi, belghe e francesi, con migliaia di aerei e corazzati, nel giro di settimane; i Blitzkriege, “guerre rapide com il lampo” erano invariabilmente seguite da Blitzsiege, “vittorie alla velocità del lampo”.

Queste vittorie furono abbastanza spettacolari, ma non resero alla Germania molto bottino specialmente sotto forma di materiali vitali come petrolio e gomma, al contrario, le “guerre-lampo” in realtà impoverirono le riserve accumulate prima del conflitto. Fortunatamente per Hitler, nel corso del 1940 e del 1941 la Germania fu in grado di continuare nell’importazione di petrolio dagli Stati Uniti, allora non belligeranti, non direttamente, ma attraverso altri paesi neutrali ma amici, come la Spagna di Franco. Inoltre, secondo le clausole del Patto Hitler-Stalin, l’Unione Sovietica stessa rifornì piuttosto generosamente la Germania di petrolio! Era, tuttavia, assai seccante per Hitler che la Germania, in pagamento, dovesse fornire all’Unione Sovietica prodotti industriali di elevata qualità e nuovissima tecnologia militare, che venne utilizzata dai sovietici per modernizzare il loro esercito e migliorare il proprio armamento.5

Si comprende, pertanto, come Hitler abbia ripescato il suo vecchio piano di guerra contro l’Unione Sovietica subito dopo la sconfitta della Francia, precisamente, nell’estate 1940. Un ordine formale per la preparazione dei piani per un tale attacco, il cui nome in codice era Operazione Barbarossa (Unternehmen Barbarossa) venne dato alcuni mesi dopo, il 18 dicembre 1940.6 Già nel 1939 Hitler era molto impaziente di attaccare l’Unione Sovietica, ma si era rivolto contro l’Occidente, come racconta uno storico tedesco, solamente “ per sentirsi le spalle sicure (Rückenfreiheit) quando alla fine fosse stato pronto a sistemare i conti con l’Unione Sovietica.”  Lo stesso storico conclude che nel 1940 nulla era cambiato per Hitler: “Il nemico vero era quello che si trova ad est.”7 Hitler, semplicemente, non voleva aspettare troppo a lungo prima di attuare la grande ambizione della sua vita, ossia distruggere il paese che aveva definito come suo arcinemico nel Mein Kampf. Inoltre egli era al corrente che i sovietici stavano freneticamente preparando le loro difese in vista di un attacco tedesco che, come sapevano troppo bene, prima o dopo sarebbe arrivato. Dato che l’Unione Sovietica stava preparandosi ogni giorno di più, il tempo non era ovviamente dalla parte di Hitler. Quanto avrebbe dovuto attendere prima che la “finestra di opportunità” si richiudesse?

Per di più, un blitzkrieg contro l’Unione Sovietica prometteva di rifornire la Germania con le risorse virtualmente illimitate di quell’immenso paese, compreso il grano ucraino tale da assicurare alla popolazione tedesca abbondanza di cibo, anche in tempo di guerra, minerali, come il carbone, da cui estrarre gomma sintetica e olio minerale, e – ultimo, ma certo non per importanza – i ricchi campi petroliferi di Baku e Grozny, dove i Panzer e gli Stukas, tutti avidissimi di carburante, avrebbero potuto riempire i loro serbatoi fino all’orlo ogni volta l’avessero voluto. Corazzato da tutte queste risorse, sarebbe stato facile per Hitler fare i conti con l’Inghilterra, partendo, ad esempio, dalla conquista di Gibilterra. La Germania sarebbe finalmente stata il vero potere mondiale, invulnerabile nella sua fortezza europea che si sarebbe estesa dall’Atlantico agli Urali, avrebbe posseduto risorse illimitate e sarebbe stata, pertanto, capace di vincere persino lunghi conflitti, guerre che si sarebbero trascinate a lungo contro qualsiasi nemico – compresi gli USA – in una delle future “guerre dei continenti” evocate dalla febbrile immaginazione di Hitler.

Hitler e i suoi generali erano fiduciosi che il Blitzkrieg che si preparavano a scatenare contro l’Unione Sovietica avrebbe avuto lo stesso successo delle precedenti guerre-lampo contro Polonia e Francia. Consideravano l’Unione Sovietica un “gigante dai piedi d’argilla”, il cui esercito, probabilmente decapitato della sua dirigenza dalle purghe di Stalin alla fine degli anni trenta, fosse “poco più di uno scherzo”, come in un’occasione ebbe a dire lo stesso Hitler.8 Per combattere, e naturalmente vincere, le battaglie decisive avevano previsto una campagna la cui durata sarebbe stata da quattro a sei settimane, forse seguita da operazioni di rastrellamento, nel corso delle quali ai residui dell’esercito sovietico sarebbero “stata data la caccia in tutto il paese come a una banda di cosacchi in disfatta.”9 In ogni caso, Hitler si sentiva estremamente fiducioso e, alla vigilia dell’attacco, “s’immaginava di trovarsi sulla soglia del più grande trionfo della sua vita.”10

(Anche a Washington e a Londra, gli esperti militari la pensavano allo stesso modo ossia che l’Unione Sovietica non sarebbe stata in grado di opporre una significativa resistenza alla formidabile macchina da guerra tedesca, alla quale i successi del 1939-40 avevano conferito una reputazione d’invincibilità. I servizi segreti britannici erano convinti che l’Unione Sovietica sarebbe stata “liquidata in otto o dieci settimane”, e il Feldmaresciallo Sir John Dill, Capo dello Stato Maggiore Imperiale, asserì che la Wehrmacht avrebbe affettato l’Armata Rossa “come un coltello caldo fa con il burro” e che l’esercito sovietico sarebbe stato accerchiato come si fa con una “mandria di bestiame”. Secondo l’opinione di esperti di Washington, Hitler avrebbe “schiacciato la Russia come un uovo.”)11

L’attacco tedesco partì alle prime ore del mattino del 22 giugno 1941. Tre milioni di soldati tedeschi e quasi 700.000 di alleati della Germania nazista attraversarono il confine e il loro equipaggiamento consisteva in 600.000 veicoli motorizzati, 3.648 carri armati, più di 2.700 aerei e oltre 7.000 pezzi d’artiglieria.12 All’inizio, tutto procedette secondo i piani. Grosse falle vennero aperte nelle difese sovietiche, impressionanti guadagni territoriali ebbero luogo con grande rapidità, mentre centinaia di migliaia di soldati dell’Armata Rossa vennero uccisi, feriti o fatti prigionieri in un numero spettacolare di “battaglie d’accerchiamento” (Kesselschlachten). Dopo una di queste battaglie, combattuta nei pressi di Smolensk verso la fine di luglio, la strada verso Mosca sembrava aperta.

Subito, tuttavia, divenne chiaro che il Blitzkrieg nell’est non sarebbe stata quella passeggiata che ci si attendeva. Nell’affrontare la più potente macchina militare mai comparsa sulla terra, l’Armata Rossa aveva prevedibilmente preso una grossa bastonata ma, come il ministro della Propaganda Joseph Goebbels confidò al suo diario già il 2 luglio, aveva anche opposto una dura resistenza e colpito alle spalle molto duramente in più di un’occasione. Il generale Franz Halder, per molti versi “padrino” del piano d’attacco dell’Operazione Barbarossa, ammise che la resistenza sovietica era molto più dura di quella che i tedeschi avevano sperimentato in Europa Occidentale. I rapporti della Wehrmacht parlavano di resistenza “dura”, “tenace” e persino “selvaggia”, che causava nell’esercito attaccante pesanti perdite in uomini ed equipaggiamento.13 Più spesso di quanto atteso, forze sovietiche riuscivano a lanciare contrattacchi che rallentavano l’avanzata tedesca. Alcune unità sovietiche si erano date alla macchia nelle vaste paludi di Pripet e in altri luoghi, organizzando una micidiale guerra partigiana e minacciando le lunghe e vulnerabili linee di comunicazione tedesche.14 Risultò anche che l’Armata Rossa era molto meglio equipaggiata di quanto previsto. I generali tedeschi erano “stupefatti”, scrive uno storico tedesco, dalla qualità delle armi sovietiche, come il lanciatore di razzi Katyusha (soprannominato l’“Organo di Stalin”) e il carro armato T-34. Hitler era furioso con il suo servizio segreto che non era al corrente dell’esistenza di alcune di queste armi.15

La maggior causa di preoccupazione dei tedeschi era, comunque, il fatto che il grosso dell’Armata Rossa era riuscito a ritirarsi relativamente in buon ordine e aveva evitato di venire distrutto in un accerchiamento decisivo, una ripetizione di Canne o Sedan, come avevano sognato Hitler e i suoi generali. Pareva che i sovietici avessero accuratamente osservato e analizzato i successi dei Blitzkrieg tedeschi del 1939 e del 1940 e avessero appreso utili lezioni. Dovevano aver considerato che nel 1940 i francesi avevano ammassato le loro forze vicino al confine con la Germania e il Belgio rendendo possibile il loro accerchiamento da parte della macchina bellica tedesca in un decisivo Kesselschlacht. (Anche le truppe inglesi erano state accerchiate, ma erano riuscite a sfuggirvi attraverso Dunkerque.) I sovietici, naturalmente, avevano lasciato delle truppe nei pressi del confine e queste truppe prevedibilmente avevano subito le maggiori perdite nelle fasi iniziali di Barbarossa, ma – contrariamente a quanto preteso da storici come Richard Overy16 – il grosso dell’Armata Rossa venne tenuto nelle retrovie, evitando di essere preso in trappola. Fu questa “difesa in profondità” che frustò l’ambizione tedesca di distruggere l’Armata Rossa in un colpo solo. Il maresciallo Zhukov avrebbe scritto nelle sue memorie che “l’Unione Sovietica sarebbe stata sconfitta nel caso avessimo organizzato tutte le nostre forze nei pressi dei confini.”17

Per la metà di luglio, mentre la guerra di Hitler all’est iniziava a perdere le sue qualità lampo, alcuni alti dirigenti tedeschi espressero grande preoccupazione. L’ammiraglio Wilhelm Canaris, capo del servizio segreto della Wehrmacht, l’Abwehr, per esempio, confidava il 17 luglio a un collega al fronte, il generale von Bock, che vedeva “nero su nero” Anche sul fronte interno, molti civili iniziarono a capire che la guerra in oriente non stava andando bene. A Dresda, Victor  Klemperer scrisse nel suo diario il 13 luglio: “Stiamo subendo immense perdite, abbiamo sottostimato i russi …”18 Nello stesso periodo anche Hitler abbandonò l’idea di una rapida e facile vittoria e ridusse le sue aspettative esprimendo la speranza che le sue truppe potessero raggiungere il Volga per ottobre e occupare i campi petroliferi del Caucaso all’incirca un mese dopo.19 Alla fine di agosto, nel momento in cui Barbarossa avrebbe dovuto essere alla conclusione, un memorandum dell’Alto Comando della Wehrmacht (Oberkommando der Wehrmacht, OKW) riconobbe che non era più possibile vincere la guerra contro l’URSS nel 1941.20

Un problema cruciale era il fatto che, all’avvio dell’Operazione Barbarossa, il 22 giugno, i rifornimenti disponibili di carburante, gomme, ricambi, ecc. erano stati calcolati bastare per due soli mesi. Questo era ritenuto sufficiente perché ci si attendeva che nel giro d due mesi l’Unione Sovietica sarebbe stata in ginocchio e le sue immense risorse – sia prodotti industriali che materie prime – sarebbero state disponibili per i tedeschi.21 Per la fine di agosto, tuttavia, le avanguardie tedesche non erano in alcun modo vicine alle lontane regioni dell’Unione Sovietica ove il petrolio, la più preziosa di tutte le materie prime indispensabili alla guerra, doveva essere preso. Se i carri armati continuavano a rombare, anche se sempre più piano, nelle piane apparentemente infinite di Russia e Ucraina, era in larga misura per via del carburante e della gomma importate, attraverso la Spagna e la Francia occupata, dagli Stati Uniti. La quota americana delle importazioni tedesche di un olio di vitale importanza per la lubrificazione dei motori (Motorenöl), ad esempio, si accrebbero rapidamente nell’estate del 1941 e precisamente del 44 per cento in luglio e non meno del 94 per cento in settembre.22

Le fiamme dell’ottimismo si ravvivarono di nuovo in settembre quando le truppe tedesche conquistarono Kiev, catturando 650.000 prigionieri, mentre più a nord continuavano a progredire in direzione di Mosca. Hitler credette, o almeno volle credere, che per i sovietici ormai la fine era vicina. In un pubblico discorso allo Sportpalast di Berlino il 3 ottobre Hitler dichiarò che la guerra ad oriente era virtualmente conclusa. Alla Wehrmacht venne ordinato di assestare il colpo di grazia lanciando l’Operazione Tifone (Unternehmen Taifun), un offensiva che aveva come obiettivo la presa di Mosca. Le probabilità di successo parevano, comunque, sempre più esili, dato che i sovietici stavano alacremente richiamando unità di riserva dall’Estremo Oriente. (Erano bene informati dalla loro principale spia a Tokyo, Richard Sorge, che i giapponesi, il cui esercito stazionava nella Cina settentrionale, avevano deciso di non attaccare le vulnerabili frontiere sovietiche nella regione di Vladivostock). A peggiorare le cose, i tedeschi non godevano più della superiorità aerea, in particolare nella zona di Mosca. Inoltre, solo un insufficiente approviggionamento di munizioni e vettovaglie poteva venire trasportato dalle retrovie al fronte, dato che le lunghe linee di rifornimento erano seriamente ostacolate dall’attività partigiana.23 Da ultimo, stava facendo freddo in Unione Sovietica, anche se non più del solito per quella stagione dell’anno. L’Alto Comando germanico, fiducioso che il Blitzkrieg all’est si sarebbe concluso per la fine dell’estate, aveva mancato di fornire alle sue truppe l’equipaggiamento necessario a combattere sotto la pioggia, nel fango, con la neve e nelle fredde temperature dell’autunno e dell’inverno russo.

Prendere Mosca sembrava un obiettivo estremamente importante per Hitler e i suoi generali. Si credeva, anche se erroneamente, che la caduta di Mosca avrebbe “decapitato” l’Unione Sovietica e quindi l’avrebbe portata al collasso. Pareva anche importante evitare che si ripetesse lo scenario dell’estate del 1914, quando l’avanzata tedesca, apparentemente inarrestabile, era stata fermata in extremis alla periferia est di Parigi nella battaglia della Marna. Questo disastro – dal punto di vista tedesco – aveva privato la Germania di una vittoria quasi certa nell’immediata fase iniziale della Grande Guerra e l’aveva costretta a una lunga, prolungata lotta che, in mancanza di risorse sufficienti e con il blocco navale imposto dalla Marina Britannica, l’aveva destinata alla sconfitta. Questa volta, in una nuova Grande Guerra, combattuta contro un nuovo arcinemico, l’Unione Sovietica, non ci sarebbe stato nessun “Miracolo della Marna” ossia nessuna sconfitta nei dintorni della capitale e la Germania, in questo modo, non avrebbe dovuto combattere di nuovo, senza risorse e con un blocco navale, un lungo, prolungato conflitto in cui sarebbe stata destinata alla parte del perdente. Diversamente da Parigi, Mosca sarebbe caduta, la storia non si ripete e la Germania sarebbe risultata vittoriosa.24 O almeno così speravano nel quartier generale di Hitler.

La Wehrmacht continuava ad avanzare, benché molto lentamente, e a metà novembre alcune unità si trovavano a soli trenta chilometri dalla capitale, ma le truppe erano ormai completamente esauste e a corto di rifornimenti. I loro comandanti sapevano che era semplicemente impossibile prendere Mosca, pur se vicina e per questo allettante, e che, anche riuscendovi, questo non avrebbe dato loro la vittoria. Il 3 dicembre un certo numero di unità abbandonò l’offensiva di propria iniziativa. Nel giro di pochi giorni, tuttavia, l’intera armata tedesca di fronte a Mosca venne semplicemente costretta sulla difensiva. Il 5 dicembre, alle tre del mattino, in condizioni atmosferiche di neve e freddo intenso, l’Armata Rossa lanciò un improvviso contrattacco ben preparato e di grande peso. Le linee della Wehrmacht vennero sfondate in diverse posizioni e i tedeschi vennero respinti indietro tra i cento e i duecentottanta chilometri con pesanti perdite di uomini e materiali. Fu solo con grande difficoltà che venne evitato un catastrofico accerchiamento (Einkesselung). L’8 dicembre, Hitler ordinò al suo esercito di abbandonare l’offensiva e di attestarsi su posizioni difensive. Per questo rovescio incolpò un imprevisto, a suo dire, e precoce arrivo dell’inverno, ma rifiutò di arretrare ulteriormente, come suggeriva qualcuno dei suoi generali e propose di attaccare nuovamente nella successiva primavera.25

Così terminò il Blitzkrieg di Hitler contro l’Unione Sovietica, la guerra che, se avesse avuto successo, avrebbe realizzato la grande ambizione della sua vita, la distruzione dell’URSS. Ancora più importante, almeno dalla nostra prospettiva attuale, una tale vittoria avrebbe fruttato alla Germania nazista abbastanza petrolio e altre risorse da renderla una potenza mondiale virtualmente invulnerabile. Come tale, molto verosimilmente la Germania sarebbe stata in grado di assestare il colpo finale alla caparbia Inghilterra, anche se gli Stati Uniti fossero corsi in aiuto dei cugini anglo-sassoni che, detto per inciso, agli inizi di dicembre del 1941, non erano ancora della partita. Un Blitzsieg, ovvero una rapida vittoria contro l’Unione Sovietica in quel momento, avrebbe presumibilmente reso impossibile una sconfitta dellla Germania, e molto probabilmente sarebbe andata proprio così. (É presumibilmente corretto dire che se la Germania nazista avesse sconfitto l’Unione Sovietica nel 1941, sarebbe tuttora la potenza egemone i Europa e forse anche nel Medio Oriente e nell’Africa settentrionale). La sconfitta nella battaglia di Mosca del dicembre 1941 ebbe comunque il significato che il Blitzkrieg di Hitler non aveva prodotto l’atteso Blitzsieg. In una nuova “battaglia della Marna”, poco ad ovest di Mosca, la Germania subì la sconfitta che rese la sua vittoria impossibile, non solo la vittoria contro l’Unione Sovietica, ma anche contro la Gran Bretagna e la vittoria nella guerra in generale.

Avendo in mente le lezioni della Prima Guerra Mondiale, Hitler e i suoi generali sapevano fin dall’inizio che, per vincere la nuova “Grande Guerra” che avevano scatenato, la Germania doveva vincere rapidamente, molto rapidamente. Il 5 dicembre 1941, tuttavia, apparve chiaro a ciascuno dei presenti nel quartier generale di Hitler che non era in arrivo un Blitzsieg contro l’Unione Sovietica e che quindi la Germania era destinata a perdere la guerra, se non presto, più tardi. Secondo il generale Alfred Jodl, capo del gruppo operativo dell’OKW, Hitler capì che non avrebbe più vinto la guerra.26 Si può, quindi, arguire che la marea della Seconda Guerra Mondiale mutò direzione il 5 dicembre 1941. Come le maree reali, che non invertono il loro corso all’improvviso, ma gradualmente e impercettibilmente, il flusso della guerra mutò non in un giorno solo, ma in un periodo di giorni, settimane e persino mesi, precisamente nell’arco dei circa tre mesi che intercorsero tra la tarda estate del 1941 e gli inizi di dicembre dello stesso anno.

La marea della guerra nell’est cambiò gradualmente, ma non tanto impercettibilmente. Già nell’agosto del 1941, mentre i successi tedeschi non raggiungevano l’obiettivo della capitolazione sovietica e l’avanzata della Wehrmacht rallentava considerevolmente, acuti osservatori iniziarono a dubitare che una vittoria tedesca, non solo sull’Unione Sovietica, ma nella guerra in generale, appartenesse ancora al regno del possibile. Il ben informato Vaticano, ad esempio, inizialmente entusiasta della “Crociata” di Hitler contro la patria sovietica del bolscevismo “senza dio” e fiduciosa in un collasso immediato dei sovietici, iniziò a esprimere gravi preoccupazioni sulla situazione nell’est già nella tarda estate del 1941. A metà ottobre, si dovette giungere alla conclusione che la Germania avrebbe perduto la guerra.27 Ugualmente, a metà ottobre, il servizio segreto svizzero riportò che “i tedeschi non possono più vincere la guerra”. Questa conclusione era basata su informazioni raccolte in Svezia da dichiarazioni di funzionari tedeschi in visita.28 Verso la fine di novembre, un certo disfattismo aveva iniziato a infettare gli alti ranghi della Wehrmacht e del Partito Nazista. Anche se incalzavano le proprie truppe spingendole a marciare alla volta di Mosca, alcuni generali erano dell’opinione che sarebbe stato preferibile fare delle proposte di pace e rallentare la guerra anche senza aver raggiunto la grande vittoria che pareva tanto certa all’inizio dell’Operazione Barbarossa. Poco prima della fine di novembre, il ministro per gli Armamenti Fritz Todt chiese ad Hitler di trovare una via diplomatica per terminare la guerra, dato che sia militarmente che industrialmente era perduta.29

Quando l’Armata Rossa lanciò la sua devastante controffensiva il 5 dicembre, Hitler stesso capì che avrebbe perduto la guerra, ma, naturalmente, non era pronto a farlo sapere all’opinione pubblica tedesca. Le cattive notizie provenienti dal fronte vicino a Mosca vennero presentate al pubblico come una battuta d’arresto temporanea, imputabile a un supposto inaspettato precoce arrivo dell’inverno e/o all’incompetenza o vigliaccheria di certi comandanti. (Fu solo un buon anno dopo, dopo la catastrofica sconfitta nella Battaglia di Stalingrado, durante l’inverno 1942-43, che l’opinione pubblica tedesca, e il mondo intero, avrebbe capito che la Germania era condannata; questo è il motivo per cui ancor oggi molti storici ritengono che la marea mutò direzione a Stalingrado.)  Anche allora, tuttavia, si dimostrò impossibile mantenere sotto totale silenzio le catastrofiche implicazioni della debacle subita di fronte a Mosca. Ad esempio, il 19 dicembre 1941, il console tedesco a Basilea riportò ai suoi superiori a Berlino che il capo di una missione della Croce Rossa Svizzera (apertamente filonazista), inviata al fronte in Unione Sovietica per assistere esclusivamente i feriti di parte tedesca, contravvenendo, naturalmente, alle regole della Croce Rossa, era ritornato in Svizzera con la notizia, sorprendente per il console, che “non credeva più che la Germania potesse vincere la guerra.”30

7 dicembre 1941. Nel suo quartier generale nella foresta della Prussia Orientale, Hitler non aveva ancora completamente digerito le infauste notizie della controffensiva sovietica di fronte a Mosca, quando apprese che, dall’altra parte del mondo, i giapponesi avevano attaccato gli americani a Pearl Harbour. Questo provocò la dichiarazione di guerra degli Stati Uniti nei confronti del Giappone, ma non della Germania che non aveva nulla a che fare con l’attacco e non era neppure informata dei piani giapponesi. Hitler non aveva alcun impegno che lo obbligasse a correre in aiuto dei suoi amici giapponesi, come preteso da molti storici americani, ma l’11 dicembre – quattro giorni dopo Pearl Harbour – dichiarò guerra agli Stati Uniti. Questa decisione, apparentemente irrazionale, deve essere compresa alla luce della difficile situazione tedesca nell’Unione Sovietica. Hitler quasi certamente ipotizzò che questo gesto di solidarietà del tutto gratuito avrebbe indotto il suo alleato in Oriente a contraccambiare con una dichiarazione di guerra al nemico della Germania, l’Unione Sovietica, e questo avrebbe costretto i sovietici nella posizione assai difficile di dover combattere una guerra su due fronti. Pare che Hitler abbia creduto di poter esorcizzare lo spettro della sconfitta in Unione Sovietica, e nella guerra in generale, appellandosi a un deus ex machina giapponese che fosse comparso minaccioso di fronte alle vulnerabili frontiere siberiane dell’Unione Sovietica. Secondo lo storico tedesco Hans W. Gatzke, il Führer si convinse che “se la Germania non si fosse associata al Giappone [nella guerra contro gli Stati Uniti], sarebbe … finita ogni speranza di aiuto giapponese contro l’Unione Sovietica”. Ma il Giappone non abboccò all’amo. É vero che Tokyo detestava lo stato sovietico, ma la terra del sole nascente, ora in guerra con gli Stati Uniti, poteva permettersi il lusso di una guerra su due fronti tanto poco quanto l’Unione Sovietica e preferiva puntare tutte le sue risorse sulla strategia “meridionale”, sperando di vincere il grande premio dell’Asia sud-orientale – compresa l’Indonesia, ricca di petrolio ! – piuttosto che imbarcarsi in un’avventura nelle inospitali lande della Siberia. Solo a conflitto virtualmente concluso, dopo la resa della Germania nazista, si sarebbe dato il via alle ostilità tra Unione Sovietica e Giappone.31

E così, per l’errore di Hitler, il campo dei nemici della Germania ora comprendeva non solo la Gran Bretagna e l’Unione Sovietica, ma anche la potenza degli USA, le cui truppe sarebbe stato possibile veder comparire – nel prevedibile futuro – sulle spiagge tedesche, o almeno sulle spiagge di quella parte d’Europa occupata dai tedeschi. Gli americani, in effetti, sbarcarono loro truppe in Francia, ma ciò avvenne solo nel 1944, e questo evento indiscutibilmente importante è spesso presentato come il punto di svolta della Seconda Guerra Mondiale. Ci si dovrebbe, tuttavia, chiedere se gli americani sarebbero mai sbarcati in Normandia o avrebbero dichiarato guerra alla Germania nazista, se l’11 dicembre 1941 Hitler non avesse proclamato guerra agli USA. Ed anche interrogarsi sul perchè Hitler avesse preso quella disperata, al limite suicida, decisione di dichiarare guerra agli USA se non si fosse trovato in una situazione senza speranze in Unione Sovietica. Il coinvolgimento degli USA nella guerra contro la Germania, che per molte ragioni non era “nelle carte” fino al dicembre 1941, fu quindi anche una conseguenza del rovescio delle truppe tedesche di fronte a Mosca. Ovviamente, questo costituisce un altro elemento a favore della tesi che “l’inversione della marea” ebbe luogo in Unione Sovietica nell’autunno e prima parte dell’inverno del 1941.

La Germania nazista era condannata, ma la guerra sarebbe stata ancora molto lunga. Hitler ignorò il consiglio dei suoi generali, che raccomandavano con forza di trovare una via d’uscita diplomatica dal conflitto, e decise di continuare a combattere con la fragile speranza che un qualche evento gli rendesse possibile tirar fuori dal cappello la vittoria. La controffensiva russa avrebbe perso di vigore, la Wehrmacht sarebbe sopravvissuta all’inverno del 1941-1942 e, nella primavera del 1942, Hitler avrebbe messo insieme fino all’ultima risorsa disponibile per un’offensiva – nome in codice “Operazione Blu” (Unternehmen Blau) – in direzione dei campi petroliferi del Caucaso – passando per Stalingrado. Hitler stesso riconosceva che “se non prendiamo il petrolio di Maikop e Grozny, allora si sarebbe dovuto terminare questa guerra.”32 Il fattore sorpresa, tuttavia, era perduto e i sovietici si dimostrarono in grado di poter disporre di grandi quantità di uomini, petrolio e altre risorse, come pure di un eccellente equipaggiamento, gran parte del quale prodotto in stabilimenti che erano stati dislocati oltre gli Urali tra il 1939 e il 1941. La Wehrmacht, d’altro canto, non era riuscita a compensare le imponenti perdite subite nel 1941. Tra il 22 giugno 1941 e il 31 gennaio 1942, i tedeschi avevano perduto 6.000 aerei e più di 3.200 carri armati e veicoli similari, non meno di 918.000 uomini erano stati uccisi, feriti o dispersi nei combattimenti assomando al 28,7 per cento della forza totale impiegata di 3,2 milioni di uomini.33 (Nell’Unione Sovietica la Germania avrebbe perduto non meno di dieci milioni dei suoi 13,5 milioni di uomini tra uccisi, feriti o fatti prigionieri durante tutto il corso della guerra.)34 Le forze disponibili per esercitare una spinta decisa in direzione dei campi petroliferi del Caucaso erano, pertanto, limitate. In queste circostanze era rilevante che i tedeschi riuscissero a fare quanto possibile, ma quando la loro offensiva inevitabilmente s’indebolì, precisamente nel settembre di quell’anno, mentre le loro fragili linee si estendevano lungo migliaia di chilometri, allora divennero l’obiettivo perfetto per un attacco sovietico. Quando questo giunse, provocò l’accerchiamento e, alla fine, la distruzione di un’intera armata tedesca a Stalingrado. Fu dopo questa grande vittoria dell’Armata Rossa che l’ineluttabile sconfitta tedesca nella Seconda Guerra Mondiale divenne chiara a tutti. Tuttavia, l’apparentemente minore e relativamente inasppettata sconfitta tedesca alle porte di Mosca alla fine del 1941 era stata la precondizione per la riconosciuta più spettacolare e più “visibile” disfatta tedesca a Stalingrado.

Ci sono sempre più ragioni per ritenere che nel dicembre 1941 vi sia stato il punto di svolta della guerra. La controffensiva sovietica distrusse la reputazione d’invincibilità in cui la Wehrmacht s’era compiaciuta fin dal suo successo contro la Polonia nel 1939, incoraggiando il morale dei nemici della Germania dovunque si trovassero. La battaglia di Mosca assicurò inoltre che il grosso delle forze armate tedesche sarebbero state impegnate su un fronte orientale di circa 4.000 chilometri per un periodo indefinito di tempo e ciò avrebbe, se non altro, escluso la possibilità di altre operazioni tedesche, ad esempio, contro Gibilterra, e così fornito un formidabile aiuto agli inglesi. Significava anche che nel 1944 i tedeschi non avevano in Europa occidentale forze sufficienti per creare ostacoli seri alle forze britanniche, americane e canadesiche sarebbero sbarcate in Normandia, come avrebbe in seguito riconosciuto il generale Eisenhower. Di contro, il fallimento del Blitzkrieg demoralizzò i finlandesi e gli altri alleati dei tedeschi. E così via …

Fu di fronte a Mosca, nel dicembre del 1941, che la marea della guerra invertì il suo corso, perché fu allora che il Blitzkrieg fallì e che la Germania venne di conseguenza costretta a combattere, senza adeguate risorse, il tipo di guerra lunga che Hitler e i suoi generali sapevano che non avrebbero potuto vincere.

                                                                      

(traduzione di Silvio Calzavarini)

Note

  1. Gerd R. Ueberschär, “Das Scheitern des Unternehmens Barbarossa”, Gerd R. Ueberschär – Wolfram Wette (eds.), Der deutsche Überfall auf die Sowjetunion: “Unternehmen Barbarossa” 1941, Frankfurt am Main, 2011, p. 120.
  2. Rolf-Dieter Müller, Der Feind steht im Osten: Hitlers geheime Pläne für einem Krieg gegen die Sowjetunion im Jahr 1939, Berlin, 2011.
  3. Citato in Müller, op. cit., p. 152.
  4. Jacques R. Pauwels, Il Mito della Guerra Buona, Datanews, Roma, 2003.
  5. Lieven Soete, Het Sovjet-Duitse niet-aanvalspact van 23 augustus 1939: Politieke Zeden in het Interbellum, Berchem (Antwerp), Belgium, 1989, pp. 289-290, compresa nota 1 a pié di pagina 289.
  6. Vedi, ad esempio, Gerd R. Ueberschär, “Hitlers Entschluss zum ‘Lebensraum’-Krieg im Osten: Programmatisches Ziel oder militärstrategisches Kalkül?”, in Gerd R. Ueberschär – Wolfram Wette (eds.), Der deutsche Überfall auf die Sowjetunion: “Unternehmen Barbarossa” 1941, Frankfurt am Main, 2011, p. 39.
  7. Müller, op. cit., p. 169.
  8. Ueberschär, “Das Scheitern …”, p. 95.
  9. Müller, op. cit., pp. 209, 225.
  10. Ueberschär, “Hitlers Entschluss…”, p. 15.
  11. Pauwels, op. cit.; Ueberschär, “Das Scheitern …”, p. 95-96; Domenico Losurdo, Stalin: Storia e critica di una leggenda nera, Roma, 2008, p. 29.
  12. Müller, op. cit., p. 243.
  13. Richard Overy, Russia’s War, London, 1997, p. 87.
  14. Ueberschär, “Das Scheitern …”, pp. 97-98.
  15. Ueberschär, “Das Scheitern …”, p. 97; Losurdo, op. cit., p. 31.
  16. Overy, op. cit., pp. 64-65.
  17. Grover Furr, Khrushchev Lied: The Evidence That Every ‘Revelation’ of Stalin’s (and Beria’s) ‘Crimes’ in Nikita Khrushchev’s Infamous ‘Secret Speech’ to the 20th Party Congress of the Communist Party of the Soviet Union on February 25, 1956, is Prvably False, Kettering/Ohio, 2010, p. 343; Losurdo, op. cit., p. 31; Soete, op. cit., p. 297.
  18. Losurdo, op. cit, pp. 31-32.
  19. Bernd Wegner, “Hitlers zweiter Feldzug gegen die Sowjetunion: Strategische Grundlagen und historische Bedeutung”, in Wolfgang Michalka (ed.), Der Zweite Weltkrieg: Analysen – Grundzüge – Forschungbilanz, München – Zurich, 1989, p. 653.
  20. Ueberschär, “Das Scheitern …”, p. 100.
  21. Müller, op. cit., p. 233.
  22. Tobias Jersak, “Öl für den Führer”, Frankfurter Allgemeine Zeitung, 11 febbraio 1999. Jersak ha usato un documento segretissimo prodotto da Wehrmacht Reichstelle für Mineralöl, ora nella sezione militare del Bundesarchiv, file RW 19/2694.
  23. Ueberschär, “Das Scheitern …”, pp. 99-102, 106-107.
  24. Ueberschär, “Das Scheitern …”, p. 106.
  25. Ueberschär, “Das Scheitern …”, pp. 107-111; Geoffry Roberts, Stalin’s Wars from World War to Cold War, 1939-1953, New Haven/CT – Londra, 2006, p.111.
  26. Andreas Hillgruber (ed.), Der Zweite Weltkrieg 1939-1945: Kriegsziele und Strategie der Grossen Mächte, 5a edizione, Stuttgart, 1989, p. 81.
  27. Annie Lacroix-Riz, Le Vatican, l’Europe et le Reich de la Premiére Guerre mondiale à la guerre froide, Paris, 1996, p. 417.
  28. Daniel Bourgeois, Business helvétique et troisiéme Reich: Milieux d’affaires, politique étrangère, antisémitisme, Lausanne, 1998, pp. 123, 127.
  29. Ueberschär, “Das Scheitern …”, pp. 107-108.
  30. Bourgeois, op. cit., pp. 123, 127
  31. Pauwels, op. cit.; citazione da Hans W. Gatzke, Germany and the United States: A “Special Relationship?”, Cambridge/MA – Londra, 1980, p. 137.
  32. Wegner, op. cit., pp. 654-656.
  33. Ueberschär, “Das Scheitern …”, p. 116.
  34. Clive Ponting, Armageddon: The Second World War, Londra, 1995, p. 130; Stephen E. Ambrose, Americans at War, New York, 1998, p. 72.     

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Articles by: Dr. Jacques R. Pauwels

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