Geopolitica della guerra imperialista contro la Siria: il vecchio ordine del Medio Oriente

Parte seconda

Generalità

Molta infelicità nasce in questo mondo dalla confusione e dalla cose uccise [1]. Si pubblicano libri su libri, articoli su articoli, molti anche cinque o sei volte, in modo che non ci si perda durante la lunga strada verso la cosiddetta “rivoluzione” siriana, i cui eroi assediano da un anno e oltre, il “tiranno di Damasco” nel suo Gran Serraglio di dispotismo e tirannia. Analisi preliminari, analisi degli incidenti, analisi interne, e altri processi ausiliari ed essenziali, in ogni momento, crescono con grande proliferazione.

Riguardo ciascuno di queste grandi e piccoli analisi, i conduttori televisivi s’impegnano di routine, sui grandi schermi, in interviste con docenti specialisti di scienze politiche, esperti di affari siriani, presidenti dei centri di ricerca sul Medio Oriente, orientalisti ciarlatani diventati esperti di geostrategia nel Medio Oriente dopo aver letto “Tintin ed i sigari del Faraone“. Tutto questo rumore, frastuono, di quello che diranno, questo sbadiglio, russare, alla radio, in televisione, su internet, nelle sale da pranzo, tutto ciò è il “grande dibattito” sulla “primavera araba” e la supposta “rivoluzione” siriana, per l’appunto. Sono soprattutto questi “dottori” in sciamanesimo mediorientale che i media dell’ordine sono soliti fare riferimento, nel desiderio di riprodurre l’immagine tipica del “dispotismo” arabo contro la “democrazia democratica” dell’occidente. Tuttavia, questa volta, vediamo questi stessi “dottori”, che sono tanto consultati, precipitarsi davanti alle telecamere dei media dell’ordine, emittenti della propaganda imperialista, non per accusare gli arabi di “innata inclinazione al dispotismo“, ma piuttosto per glorificarli e congratularsi con loro per la loro “primavera”, considerata dai fanfaroni dell’imperialismo come l’”ultima incarnazione” del definitivo compimento della democrazia occidentale borghese. Plaudite, acta est fabula![2]

I due assi belligeranti in Medio Oriente
Tuttavia, dietro questo tremendo idillio tra i media dell’ordine e le “rivoluzioni arabe” si nascondono, con tutta l’ipocrisia del discorso “filantropico” e “liberatore”, gli interessi strategici dell’imperialismo mondiale in Medio Oriente.  

Dopo la sconfitta di Israele nella Seconda Guerra del Libano [3], l’Impero si è svegliato nell’amara realtà che gli iraniani sono già alle porte di Israele e l’arco sciita si è ben consolidato dall’Iran a est al Libano ad ovest, attraversando l’Iraq e la Siria. Questo asse contro l’Impero in Medio Oriente comprende, infatti, tre paesi: Iran, Siria e Libano (si aggiunga il governo Maliki in Iraq, dopo il ritiro delle truppe statunitensi). Il segretario generale dell’organizzazione Hezbollah, Hassan Nasrallah, l’ha ben descritto quando ha detto che questo asse ha tre ‘corpi’: la spalla (Iran), il braccio (Siria) e il pugno (Libano) [4].

Di fronte a questo asse, vi è l’asse pro-Impero, composto da Israele, punta di diamante dell’imperialismo mondiale in Medio Oriente, dagli emirati e dai sultanati della penisola arabica, dall’Egitto a sud (prima della detronizzazione del suo Faraone Mubarak), e dalla Turchia a nord. Infatti, l’asse dell’Impero è stato costituito nel 1978 con la creazione dell’ordine di Camp David [5], che aveva sostituito l’ordine del secondo dopoguerra.

In questo senso, ci sentiamo veramente “imbarazzati” nel credere al discorso “filantropico” dei fanfaroni della tragedia della “i”, ed interpretare, quindi, gli eventi che sconvolgono il mondo arabo, come fatti isolati dai piani espansionistici dell’Impero nella regione.  

Le nostre osservazioni del paesaggio siriano hanno portato a questo risultato: che l’insurrezione armata in Siria e l’improvvisa comparsa di gruppi islamici salafiti sulla scena degli eventi, non può essere compresa né dal discorso dei media dell’ordine occidentali e arabi subordinati, né ricordando a memoria il discorso poetico e miserabile del Consiglio nazionale siriano [6], ma piuttosto determinando 1) le componenti etniche e religiose del paesaggio della Siria, 2) le condizioni storiche della nascita di nuovi stati in Medio Oriente, dopo lo smembramento dell’impero ottomano nel 1918 [7], 3) il fallimento dell’impero statunitense dopo le guerre in Afghanistan e in Iraq; 4) la sconfitta di Israele nella seconda guerra del Libano [8].

Detto questo, qualsiasi discussione sulla violenza in Siria – un nome che troviamo più realistico della fantastica “rivoluzione” siriana – dovrebbe prendere come base per l’analisi, i punti di cui sopra.

Inoltre, ciò che cerchiamo di stabilire è proprio la conoscenza di un evento storico tanto significativo nella storia del Medio Oriente, e il suo effetto sugli attuali eventi in Siria; poiché anche se si possiede la conoscenza più completa possibile di tutti gli eventi della “Primavera araba“, saremmo impotenti di fronte alle seguenti domande:

In primo luogo, come spiegare il fatto che, ad un certo punto nella guerra contro il terrorismo dichiarata nel 2011, l’antagonismo Occidente-Islam è riuscito a formare un “fronte unito” che afferma di “difendere” democrazia e diritti umani nel mondo arabo; un “fronte” che raccoglie, dietro la barricata e anche sotto la stessa bandiera della “libertà, democrazia, giustizia“, l’imperialismo degli Stati Uniti, il neo-colonialismo europeo, l’islamismo del Califfato turco e il dispotismo oscurantista arabo?

In secondo luogo, come spiegare il fatto che gli emirati e sultanati arabi del Golfo si considerino minacciati dall’Iran, un paese musulmano, e non dallo stato ebraico stabilito nel cuore del mondo arabo dall’imperialismo britannico, all’indomani della Grande Guerra?
In terzo luogo, perché Israele, un paese che si considera ed è considerato l’”unica democrazia” in Medio Oriente, a un certo punto diventa la garanzia di continuità delle politiche oscurantiste delle monarchie dispotiche della penisola arabica?

In quarto luogo, come spiegare il fatto che, nonostante la propaganda imperialista e la disinformazione dei media contro la Siria, troviamo che la maggior parte dei siriani continua a sostenere il presidente Bashar al-Assad, e che anche la maggioranza dei libanesi e degli iracheni, per non parlare degli iraniani, lo supporta?

In quinto luogo, come spiegare il fatto che le minoranze cristiane d’Oriente, che normalmente si identificano con l’”Occidente cristiano” si sentano minacciate dalla “democrazia democratica” stessa dell’Occidente, e preferiscano la “tirannia” del presidente siriano Assad alla “libertà” promessa dall’imperialismo mondiale?

E’ vero che il numero e la natura delle cause determinanti di un singolo evento qualsiasi è sempre infinito, e non vi è nelle cose stesse alcun tipo di criterio che permetta di selezionare una parte di esse, come le sole da dover prendere in considerazione; ma non possiamo lasciarci prendere “dalla confusione e uccidere le cose” della propaganda imperialista, per la semplice ragione che le cause sono infinite; al contrario, il nostro lavoro analitico richiede la distribuzione delle cause infinite in gruppi finiti di cause, che limiteremo in due aspetti: 1) le componenti etniche-religiose del paesaggio della Siria naturale, o l’eterogeneità culturale siriana e 2) la concretizzazione politica di questa eterogeneità nella nascita di nuovi Stati, a seguito della dissoluzione dell’Impero Ottomano nel 1918, sulla base di precise condizioni storiche.

Il vecchio ordine in Medio Oriente

E’ chiaro fin dall’inizio, che il mondo arabo attraversa un periodo di profonda ristrutturazione della propria mappa geopolitica, delle sue frontiere esterne ed interne, dei nomi dei suoi paesi e della loro natura. Si tratta, infatti, di una seconda grande ricostruzione in un secolo; dopo la prima ricostruzione avutasi dopo la Grande Guerra e lo smembramento dell’impero ottomano nel 1918, da parte dell’imperialismo franco-britannico. Tra la prima ricostruzione (1918) e la seconda (2011), due revisioni sono state fatte:

In primo luogo, la revisione del secondo dopoguerra che è stata applicata negli anni Cinquanta e Sessanta. Questa revisione ha portato a due eventi principali: 1) la caduta delle monarchie create dall’imperialismo francese e britannico all’indomani della Grande Guerra, la monarchia di Idris I di Libia (1951-1969), il Regno d’Egitto [9] (1922-1953), il Regno d’Iraq [10] (1921-1958), la monarchia dello Yemen [11] (1918-1962) e 2) l’indipendenza delle colonie francesi e inglesi in Africa del Nord e Medio Oriente.

In secondo luogo, la revisione dell’ordine di Camp David, istituito nel 1978 a seguito della guerra “carnevalesca” dell’ottobre 1973. Questa seconda revisione ha portato alla nascita di dittature e monarchie sanguinarie imposte e sostenute dall’imperialismo mondiale [12]. Per tre decenni, mostri come Mubarak, Saddam, gli emiri e i sultani della penisola arabica, godettero della benedizione dell’impero statunitense e dei suoi alleati europei. Da un lato, lo status quo ha imposto Israele al centro delle relazioni regionali, dall’altra parte, ha permesso a despoti e mostri arabi, docili all’impero statunitense, di tiranneggiare i loro popoli e di terrorizzarli con tortura, oppressione e sterminio. Qui citiamo l’esempio di Saddam Hussein, che si precipitò in una guerra selvaggia contro il popolo iraniano (1979 – 1988) causando 1,5 milioni di vittime fra morti e disabili [13], e l’esempio di Mubarak, il faraone egiziano e figlio di Ramses II, che s’impose in Egitto ed ha affamato il suo popolo per trentanni come nessun altro Faraone aveva mai fatto.   

L’accordo Sykes-Picot (1916)

Come evidenziato dalla mappa geopolitica del Medio Oriente, i confini degli Stati esistenti furono elaborati in piena Grande Guerra (1914 – 1918), proprio come una divisione coloniale, risultata da diversi accordi e trattati imposti da Francia e Regno Unito, le due grandi potenze coloniali del tempo; citiamo l’accordo Sykes-Picot (1916), la Dichiarazione Balfour (1917), la Conferenza di Pace (1919), il trattato di Sevres (1920) e il Trattato di Losanna (1923). Ne risulterà che francesi e britannici ridisegnarono i confini interni ed esterni delle province arabe dell’Impero ottomano, in base ai propri interessi coloniali e non, ovviamente, nell’interesse dei popoli conquistati.

Il primo accordo tra le potenze coloniali, sul futuro delle province arabe dell’Impero Ottomano, fu quello Sykes-Picot del 1916. Le grandi potenze erano in guerra. Il costo di questa guerra raggiunse già i milioni di morti e mutilati, lasciati nelle trincee di una guerra fatta per determinare quale gruppo di briganti finanziari avesse la quota maggiore di bottino coloniale. Tuttavia, lontani dai bombardamenti dell’artiglieria pesante, a Downing Street, a Londra, le due potenze coloniali, Francia e Regno Unito, si stavano preparando per ritagliare e spezzettare il “malato d’Europa“. Per queste due superpotenze, il crollo dell’Impero Ottomano era una questione di tempo.

A seguito dei lavori epistolari preparatori, durati diversi mesi, tra Paul Cambon, ambasciatore di Francia a Londra, e Sir Edward Grey, Segretario di Stato al Ministero degli Esteri, l’accordo Sykes-Picot venne concluso da Francia e Regno Unito, tra Sir Mark Sykes e François Georges-Picot, il 16 maggio 1916. L’accordo prevedeva la frantumazione del Levante e della Mesopotamia, in particolare dello spazio tra Mar Nero, Mar Mediterraneo, Mar Rosso, Oceano Indiano e Mar Caspio, allora parte dell’Impero ottomano.

Inoltre, la Russia zarista e l’Italia avevano partecipato alle deliberazioni e diedero il loro assenso ai termini dell’accordo, che rimase segreto fino al gennaio 1918 quando il nuovo governo bolscevico in Russia, l’aveva portato all’attenzione del governo della Sublime Porta, ancora proprietario dei territori interessati.  

Secondo l’accordo Sykes-Picot, il Levante e la Mesopotamia, vale a dire la Siria naturale [14], sarebbero stati divisi in cinque zone:

1. Zona di amministrazione diretta francese, formata dall’attuale Libano e dalla Cilicia;
2. Zona araba A, d’influenza francese nel nord della Siria e nella provincia di Mosul;
3. Zona di amministrazione diretta inglese formata da Kuweit e dalla Mesopotamia;
4. Zona araba B, d’influenza britannica, comprendente Siria meridionale, Giordania e il futuro mandato della Palestina;
5. Zone d’amministrazione internazionale, comprendente San Giovanni d’Acri, Haifa e Gerusalemme. Il Regno Unito otterrà il controllo dei porti di Haifa e di Acri [15].  

A un altro livello, gli Stati Uniti, che si presentavano nel ventesimo secolo come una forza “liberatrice”, non parteciparono alle delegazioni Sykes-Picot, e il presidente Woodrow Wilson cercò di presentare l’argomento dell’autodeterminazione dei popoli. Pertanto, spiegò l’8 Gennaio 1918 davanti al Congresso degli Stati Uniti, i quattordici punti che, secondo lui, avrebbero contribuito a regolare il dopo-guerra. In linea con questi quattordici punti, venne avanzata l’idea di inviare una commissione d’inchiesta nella provincia siriana.

Il dodicesimo punto indicava la posizione di Wilson sulla divisione dell’Impero Ottomano:
Alle regioni turche dell’impero ottomano, dovrebbe essere garantita la sovranità e la sicurezza, ma per le altre nazioni che sono ora sotto il dominio turco, dovrebbe essere garantita la sicurezza assoluta della vita e la piena opportunità di svilupparsi autonomamente; riguardo allo stretto dei Dardanelli,  dovrebbe rimanere sempre aperto, per consentire il libero passaggio alle navi e al commercio di tutte le nazioni, sotto delle garanzie internazionali [16].”

Infatti, i principi di Wilson non furono completamente rifiutati, l’occupazione britannica e francese delle province arabe dell’Impero Ottomano, al contrario, li legittimarono. I principi di Wilson riconobbero solo la sovranità delle regioni turche dell’Impero; riguardo le regioni arabe, questi principi garantirono solo, senza assicurare, la “sicurezza assoluta della vita e la piena possibilità di svilupparsi autonomamente.” Ciò significava, sottinteso, che i punti di Wilson ritenevano i siriani incapaci di decidere il proprio destino e il proprio futuro, e quindi di dover rimanere sotto una sorta di protettorato coloniale, prima che potessero avere la loro indipendenza.

Dal punto di vista del suo contenuto e non della sua forma, il discorso “liberare” di Wilson non si discosta molto da quello fatto dalle potenze coloniali alla Conferenza di Berlino, nel 1884, per giustificare la divisione dell’Africa [17]. Se la Conferenza di Berlino (1884) adottò un discorso sulla “civilizzazione” per giustificare il saccheggio dell’Africa [18], la Conferenza di Pace (1919) preferì un discorso “liberatore” per regolare l’assalto al Medio Oriente. Ricordiamoci anche, en passant, del discorso “democraticista” dell’Impero statunitense alla vigilia dell’invasione dell’Iraq, nel 2003.

Contrariamente a ciò che la Conferenza di Pace diffuse, i siriani [19] erano determinati a raggiungere l’indipendenza e a governare indipendentemente dalle potenze coloniali. Ciò era giustificato dalla presenza, fin dal XIX secolo, di grandi partiti politici, movimenti, organizzazioni, club, giornali, stampa, pubblicazioni, il cui obiettivo principale era raggiungere l’indipendenza delle province arabe dall’Impero ottomano. Infatti, non è vero che i turchi, sconfitti nella Grande Guerra, abbandonarono macchia e boschi occupati da una popolazione primitiva, come ama diffondere il discorso colonialista; al contrario, le città arabe dell’Impero Ottomano aveva raggiunto, a quel tempo, un livello molto avanzato nel campo dell’organizzazione urbana.   

Certo, la posizione degli Stati Uniti di fronte ai progetti di suddivisione del Levante, alla vigilia della Conferenza di Pace (1919), non può essere spiegata con la natura, allora “liberatrice” degli Stati Uniti, o dalla “buona volontà” e dal “libero arbitrio” del presidente statunitense Woodrow Wilson, “Pace dalle sue ceneri”; ma piuttosto dall’analisi oggettiva dell’”astinenza” statunitense, considerata nel contesto del rapporto di forze allora stabilito tra le due scaltre potenze coloniali, e che erano state sul punto di perdere la guerra in Europa, Francia e Regno Unito, da un lato, e una potenza imperialista in ascesa, che si precipitò in loro soccorso nel 1917, gli Stati Uniti, dall’altro lato.   In altre parole, gli Stati Uniti volevano, a quel tempo, frenare le ambizioni coloniali di Francia e Regno Unito, che si stavano preparando a una soluzione globale del Medio Oriente, secondo il modello applicato in Africa. Inoltre, gli interessi degli Stati Uniti esigevano che le province arabe dell’Impero ottomano non fossero sotto un’occupazione diretta che portasse a una soluzione globale, come era stato fatto in Africa, ma sotto un’occupazione indirettamente controllata dalla Lega delle Nazioni.

In base a questa determinazione nel rifiutare l’imperialismo britannico e francese, e le sue manifestazioni, un nuovo sistema giuridico venne introdotto gradualmente. La Società delle Nazioni organizzò nel contesto di un comitato, una consultazione delle popolazioni interessate. La Commissione d’inchiesta King-Crane venne inviata nel 1919 in Palestina, Libano, Siria e Cilicia, per indagare sui desideri dei popoli circa il loro futuro. Anche in Iraq, gli inglesi lanciarono una consultazione pubblica tra dicembre 1918 e gennaio 1919.

Percependo che la situazione gli sfuggiva, francesi e britannici, che avevano partecipato alla cattura di Damasco nel 1918, lasciarono il comitato e subito imposero ai territori interessati nuove frontiere, come venne specificato dall’accordo Sykes-Picot. L’anno seguente, le forze britanniche si ritirarono dalla zona di influenza della Francia, cedendo il controllo alle truppe francesi.

Incapace di far fronte alla volontà delle potenze coloniali, la Lega delle Nazioni gli affidò, nel 1920, un mandato sulle province arabe dell’Impero Ottomano, che doveva portare rapidamente, almeno in teoria, all’indipendenza dei due territori. Tuttavia, i nazionalisti siriani, organizzati dalla fine del XIX secolo, dopo aver auspicato la creazione di una Siria indipendente, comprendente la Palestina e il Libano, respinsero il mandato. Nel marzo 1920, il Congresso Nazionale siriano, eletto nel 1919, aveva rifiutato il mandato francese e proclamò unilateralmente l’indipendenza del paese. Tuttavia, nell’aprile 1920, la conferenza di San Remo confermò l’accordo Sykes-Picot, e legittimò l’intervento militare francese. Pertanto, le truppe del generale Gouraud entrarono a Damasco a luglio, e schiacciarono brutalmente l’indipendenza della Siria. Migliaia di nazionalisti siriani furono fucilati dall’autorità occupante francese. Così si ebbe il crollo del “grande progetto arabo” di raccogliere attorno a Damasco le province arabe già facenti parte dell’Impero Ottomano. Mentre era stata ostile ai turchi, la popolazione siriana divenne rapidamente di sentimenti anti-francesi.

Così, dalla suddivisione della Siria naturale, emersero dei nuovi Stati, che non erano mai esistiti prima dell’occupazione franco-britannica: Iraq, Giordania, Kuwait, Libano, Palestina, Siria e altri due Stati che non durarono a lungo, grazie al rifiuto totale da parte del popolo siriano – questo rifiuto portò alla Rivoluzione siriana (1925 – 1927) – stiamo parlando dello stato dei drusi e dello stato alawita.

Fida Dakroub, Ph.D

Per contattare l’autrice: Bof Dakroub 

Les facteurs géopolitiques de la guerre impérialiste contre la Syrie : L’Ancien ordre du Moyen-Orient 2012-05-22

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

Note
[1] Citazione di Fëdor Dostoevskij.
[2] Sul letto di morte, l’imperatore romano Augusto, sentendosi sempre più indebolito, chiese uno specchio, si fece pettinare e rasare la barba. Dopo di che disse: “Non ho giocato bene la mia parte? Sì, si rispose; Battete le mani, pertanto, ha detto, il gioco è finito! Plaudite, acta est fabula!”
[3] Dakroub, Fida. (2012, 14 maggio). La sconfitta di Israele nella seconda guerra del Libano (2006) Centre de recherche sur la mondialisation, 21 maggio 2012
[4] Moqawama
[5] Gli Accordi di Camp David furono firmati il 17 settembre 1978, dal presidente egiziano Anwar Sadat e dal primo ministro israeliano Menachem Begin, sotto la mediazione del presidente statunitense Jimmy Carter. Si trattava di due accordi quadro che furono firmati alla Casa Bianca dopo 13 giorni di negoziati segreti a Camp David. Furono seguiti dalla firma del primo trattato di pace tra Israele e un paese arabo: il trattato di pace tra Israele ed Egitto del 1979.
[6] Vedi l’articolo dall’autrice, “Le 11-Vendémiaire de la Sainte-Révolution syrienne ou L’Échec du Conseil national syrien
[7] Indichiamo per condizioni storiche tutti gli accordi e i trattati tra le potenze coloniali e imperiali sulla divisione e spartizione del Levante tra i diversi stati antagonisti, nel periodo successivo alla Grande Guerra (1914-1918).
[8] Dakroub, Fida. La sconfitta di Israele nella seconda guerra del Libano (2006). op. cit.
[9] Il regno venne istituito nel 1922, quando il governo britannico riconobbe l’Egitto indipendente. Il sultano Fuad I divenne il primo re del nuovo stato. Farouk I succedette al padre come re nel 1936. Prima la Francia, l’Egitto venne occupato e controllato dal Regno Unito dal 1882.
[10] Il regno venne prima annunciato il 23 agosto 1921, durante il mandato britannico sulla Mesopotamia. Il mandato della Società delle Nazioni esercitato dal Regno Unito, fu annullato di diritto nel 1922, ma la tutela britannica rimase parzialmente in vigore; infatti, fino al 1932, quando l’Iraq vide la sua piena indipendenza riconosciuta di diritto con la sua adesione alla Lega.
[11] Il Regno dello Yemen era uno stato che è esistito nel 1918-1962, nel nord dello Yemen moderno.
[12] Özhan, Taha, (10 ottobre 2011). The Arab “Spring”, Hürriyet
[13] Karsh, Efraim. (2002), The Iran-Iraq War 1980-1988, Osprey, Londra.
[14] Si tratta qui della Siria naturale che corrisponde grosso modo alla Siria greco-biblica, situata tra l’Anatolia, la Mesopotamia, il Mediterraneo e il Sinai (oggi Siria, Libano, Palestina, Giordania, Iraq, Kuwait e stato ebraico).
[15] Laurens, Henry. Comment l’Empire ottoman fut dépecé, Le Monde Diplomatique, aprile 2003.
[16] I Quattordici Punti del presidente Wilson, Messaggio al Congresso che delinea il programma di pace degli Stati Uniti, 8 gennaio 1918.
[17] La Conferenza di Berlino segnò l’organizzazione e la collaborazione europea nella spartizione e divisione dell’Africa. La conferenza iniziò il 15 novembre 1884 a Berlino e terminò il 26 febbraio 1885. Su iniziativa del Portogallo e organizzato da Bismarck, Germania, Austria-Ungheria, Belgio, Danimarca, Spagna, Francia, Regno Unito, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Russia, Svezia, Norvegia e Turchia e Stati Uniti vi  parteciparono. La conferenza di Berlino non aveva spartito l’Africa tra le potenze coloniali, si limitò a stabilire le regole di questa divisione.
[18] Nel 1876, la conferenza di geografia di Bruxelles (12-19 settembre 1876) fu convocata dal re belga Leopoldo II per inviare spedizioni in Congo, per il presunto scopo di fermare la tratta degli schiavi attuata dagli arabi e, nelle sue stesse parole, per “civilizzare” il continente africano.
[19] Per siriani, intendiamo gli abitanti naturali della Siria prima dell’accordo Sykes-Picot.

Dottore in Studi francesi (UWO, 2010), Fida Dakroub è una scrittrice e ricercatrice, membro del “Gruppo di ricerca e studio sulle letterature e le culture del mondo francofono” (GRELCEF) presso l’University of Western Ontario. È autrice de “L’Orient d’Amin Maalouf, Écriture et construction identitaire dans les romans historiques d’Amin Maalouf” (2011).


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