Duelli tra caccia alleati nei cieli libici

Tra i «volenterosi» che bombardano la Libia, in nome dei «diritti umani» e del «diritto internazionale» invocati dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, vi sono il Qatar e gli Emirati arabi uniti: due degli stati del Golfo governati da monarchie ereditarie, che non solo concentrano nelle proprie mani tutti i poteri e negano ai loro popoli i più elementari diritti umani, ma, in dispregio del diritto internazionale, hanno inviato truppe in Bahrain a schiacciare nel sangue la richiesta popolare di democrazia.

Principale sponsor della loro partecipazione alla guerra di Libia è stata la Francia. Il ministro della difesa Gerard Longuet ha definito «essenziale» il ruolo del Qatar, che ha inviato sei cacciabombardieri Mirage 2000-5 nella base greca di Souda, a Creta, da dove decollano insieme ai Mirage francesi per attaccare gli obiettivi in Libia. Sono quindici anni che la Francia addestra le forze aeree del Qatar, cui ha fornito i Mirage: ora finalmente possono essere usati in una azione bellica reale sotto comando francese. Lo stesso vale per i sei Mirage che gli Emirati arabi uniti hanno inviato nella base di Decimomannu in Sardegna, insieme a sei caccia F-16 e un Airbus con materiali e personale logistico. La partecipazione dei Mirage delle due monarchie del Golfo alla guerra di Libia è «essenziale»  non tanto per l’esito della guerra, quanto per gli interessi della industria costruttrice, la Dassault, gruppo privato che opera in oltre 70 paesi.

Dimostrando l’efficienza del Mirage, essa ne promuove la vendita: è in corso una trattativa per fornirne 18 all’Iraq al prezzo di 1 miliardo di dollari. Allo stesso tempo, dimostrando la superiorità dei suoi aerei, la Dassault lancia il suo nuovo caccia, il Rafale («Raffica» non solo di vento ma di mitragliatrice). Non a caso è stato un Rafale il primo a sparare in Libia, il 19 marzo. Il governo francese ha investito finora (con denaro pubblico) l’equivalente di 55 miliardi di dollari per acquistarne oltre 300. Finora però nessun altro paese ha acquistato il Rafale.

Il Qatar, che vuole 36 nuovi caccia, non ha ancora scelto:  al Rafale della Dassault si contrappongono l’Eurofighter Typhoon del consorzio europeo, l’F-15 della statunitense Boeing e il futuro F-35 della statunitense Lockheed Martin.  Stessa situazione negli Emirati arabi uniti, dove il presidente Nicolas Sarkozy si recò due anni fa per inaugurare una base militare francese e,  soprattutto, per vendergli 60 Rafale del costo di 10 miliardi di dollari (v. il manifesto 27-5-2009).  L’affare non è stato però ancora concluso perché, come nell’Oman, c’è in competizione l’F-16 della Lockheed.

In Arabia Saudita il Rafale ha già perso il duello aereo: lo ha vinto la Boeing che fornirà a Riyadh 85 F-15 e ne potenzierà altri 70 nel quadro di un «pacco» (comprendente anche 100 elicotteri da attacco) del costo di 67 miliardi di dollari. Si capisce perché l’amministrazione Obama, mentre dichiarava il 17 marzo che il Consiglio di sicurezza dell’Onu aveva «risposto al grido di aiuto dei popoli libici», restava sorda al grido di aiuto del popolo del Bahrain che le truppe saudite, entrate tre  giorni prima nel paese, stavano massacrando.

(il manifesto, 5 aprile 2011)


Articles by: Manlio Dinucci

About the author:

Manlio Dinucci est géographe et journaliste. Il a une chronique hebdomadaire “L’art de la guerre” au quotidien italien il manifesto. Parmi ses derniers livres: Geocommunity (en trois tomes) Ed. Zanichelli 2013; Geolaboratorio, Ed. Zanichelli 2014;Se dici guerra…, Ed. Kappa Vu 2014.

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