Chi era Usama Bin Ladin?

Michel Chossudovsky (professor) Globalresearch 12 settembre 2001
Traduzione di Alessandro Lattanzio

A poche ore dall’attacco terroristico al World Trade Center e al Pentagono, l’amministrazione Bush concludeva, senza prove a supporto, che “Usama bin Ladin e la sua organizzazione al-Qaida sono i maggiori sospettati“. Il direttore della CIA George Tenet aveva dichiarato che Bin Ladin ha la capacità di pianificare un “attacco multiplo con o senza avvertimento.” Il Segretario di Stato Colin Powell aveva definito gli attacchi “un’azione di guerra” e il presidente Bush confermava in intervista televisiva serale rivolta alla Nazione, che non avrebbe “fatto distinzione tra i terroristi che hanno commesso questi atti e quelli che li ospitano“. L’ex-direttore della CIA, James Woolsey, puntava il dito sugli “stati sponsor“, implicando la complicità di uno o più governi esteri. Nelle parole dell’ex consigliere della Sicurezza Nazionale, Lawrence Eagleburger, “Io penso che dovremo mostrare che quando siamo attaccati in questo modo, dovremmo essere terribili nella nostra forza e nella nostra risposta.” Tuttavia, riprendendo le dichiarazioni ufficiali, il mantra dei media occidentali ha approvato il lancio delle “azioni punitive” dirette contro obiettivi civili in Medio Oriente. Nelle parole di William Saffire, scritte sul New York Times: “Quando avremo ragionevolmente individuato i campi e le basi dei nostri aggressori, dovremo polverizzarli, minimizzando ma accettando il rischio di danni collaterali, e con atti aperti o occulti destabilizzare le nazioni ospitanti i terroristi“.

Il seguente testo traccia la storia di Usama Bin Ladin e i legami della “Jihad” islamica con la formulazione della politica estera degli USA, durante la Guerra Fredda e le sue conseguenze. Primo sospettato nell’attacco terroristico a New York e a Washington, bollato dall’FBI come “terrorista internazionale“, per il suo ruolo nell’attentato alle ambasciate USA in Africa, il saudita Usama bin Laden, che venne reclutato durante la guerra Sovietico-Afghana “ironicamente sotto gli auspici della CIA, per combattere gli ‘invasori’ sovietici”. (1)

Nel 1979 “la più grande operazione occulta nella storia della CIA” fu lanciata, in risposta all’invasione sovietica dell’Afghanistan in sostegno del governo filo-comunista di Babrak Kamal (2): “Con l’attivo incoraggiamento della CIA e dell’ISI (Inter Services Intelligence) del Pakistan, che cercava di trasformare la jihad afghana in una guerra globale pagata da tutti gli stati mussulmani contro l’Unione Sovietica, circa 35000 radicali mussulmani provenienti da 40 paesi islamici, raggiunsero i combattenti dell’Afghanistan tra il 1982 e il 1992. Decine di migliaia, inoltre, andarono a studiare nelle madrase Pakistane. Infine, più di 100000 radicali mussulmani stranieri furono direttamente influenzati dalla jihad afghana.” (3)

La “jihad” islamica era supportata dagli Stati Uniti e dall’Arabia Saudita, tramite una significativa parte delle risorse generate dal commercio di droga nella Mezzaluna Dorata: “Nel Marzo 1985, il Presidente Reagan firmò il National Security Decision Directive 166, che autorizzava gli aiuti militari e le operazioni occulte in favore dei mujahidin, e chiarì che la guerra segreta in Afghanistan aveva un nuovo obiettivo: la sconfitta delle truppe sovietiche in Afghanistan, tramite le operazioni coperte, e incoraggiare la ritirata dei sovietici. La nuova assistenza occulta degli USA iniziò con un drammatico aumento delle forniture di armi – un costante aumento fino a 65.000 tonnellate annuali dal 1987, inoltre un flusso incensante di specialisti della CIA e del Pentagono, che viaggiavano verso il quartier generale segreto dell’ISI pakistano, sulla strada principale per Rawalpindi, in Pakistan. Qui gli specialisti della CIA incontravano gli ufficiali dell’intelligence pakistana per aiutarli a pianificare le operazioni in favore dei ribelli afghani.” (4)

La Central Intelligence Agency (CIA), usando l’Inter-Services Intelligence (ISI) dei militari del Pakistan, giocò un ruolo chiave nell’addestramento dei Mujahidin. In cambio, la CIA sponsorizzava l’addestramento alla guerriglia integrata con l’insegnamento del Corano: “I temi predominanti erano che l’Islam fosse una ideologia socio-politica completa, che il sacro Corano era stato violato dalle atee truppe sovietiche, e che il popolo islamico dell’Afghanistan, avrebbe riavuto l’indipendenza rovesciando il regime di sinistra appoggiato da Mosca.” (5)

L’APPARATO DELL’INTELLIGENCE PAKISTANA

L’ISI Pakistana fu usata come un tramite. La CIA appoggiava di nascosto la “jihad“, operando indirettamente attraverso la ISI Pakistana, – p.e. la CIA non canalizzava direttamente i suoi aiuti ai mujahidin. In altre parole, per condurre al successo queste operazioni coperte, Washington fu attenta a non rivelare lo scopo ultimo della “jihad“, che consisteva nel distruggere l’Unione Sovietica. Nelle parole di Milton Beardman, agente della CIA: “Noi non dovevamo addestrare gli arabi“. Secondo Abdel Monam Saidali, del Centro Studi Strategici  al-Aram, a Cairo, Bin Ladin e gli “arabi afghani” avevano ricevuto un “addestramento assai sofisticato, che era stato permesso dalla CIA” (6). L’agente della CIA Beardman conferma, a tal riguardo, che Usama Bin Ladin non era consapevole del ruolo che svolgeva per conto di Washington. Nelle parole di Usama Bin Ladin (riportato da Beardman): “né io, né i miei fratelli, avemmo sentore degli aiuti statunitensi“. (7) Motivati dal nazionalismo e dal fervore religioso, i guerriglieri islamici erano inconsapevoli che combattevano l’Armata Rossa per conto dello Zio Sam. Mentre vi erano contatti ai massimi vertici della gerarchia dell’intelligence, i leader dei ribelli islamici nel teatro delle operazioni, non avevano contatti con Washington o con la CIA. Con la CIA che appoggiava e forniva massicci quantitativi di aiuti militari USA, l’ISI Pakistano aveva sviluppato, dall’interno, una “struttura parallela che gestiva un enorme potere su tutti gli aspetti del governo“. (8)

L’ISI aveva uno staff composto da militari, ufficiali dell’intelligence, burocrati, agenti occulti e informatori, stimati in 150000. (9) Inoltre, le operazioni della CIA avevano anche rafforzato il regime militare del Pakistan guidato dal Generale Zia ul-Haq: “Le relazioni tra la CIA e l’ISI si erano accresciute in continuazione, a seguito dell’eliminazione di Bhutto da parte del Generale Zia e l’avvento del regime militare. Durante buona parte della guerra afghana, il Pakistan era assai più aggressivamente anti-sovietico degli stessi USA. Subito dopo l’invasione militare sovietica dell’Afghanistan, nel 1980, Zia ul-Haq inviò il capo dell’ISI a destabilizzare gli stati dell’Asia centrale sovietica. La CIA approvò tale piano solo nell’Ottobre 1984″. La CIA era assai più cauta dei pakistani. Sia il Pakistan che gli USA adottarono una politica di inganni, con accoglimento pubblico ai negoziati per le soluzioni, mentre occultamente, erano d’accordo all’idea che un’escalation militare sarebbe stata la strada migliore.” (10)

IL TRIANGOLO DELLA DROGA DELLA MEZZALUNA D’ORO

La storia del traffico di droga in Asia Centrale, è intimamente collegata con le operazioni coperte delle CIA. Prima della guerra sovietico-afghana, la produzione di oppio in Afghanistan e Pakistan era diretta ai piccoli mercati regionali. Non vi era una produzione locale di eroina. (11) A tal riguardo, lo studio di Alfred McCoy conferma che in due anni di operazioni della CIA in Afghanistan, “la zona di confine Pakistan-Afghanistan divenne il maggior produttore mondiale di eroine, fornendo il 60% della domanda USA. In Pakistan, la popolazione eroinomane passò da zero del 1979, al 20% della popolazione nel 1985 – il tasso di incremento più alto di qualsiasi altra nazione” (12). “Gli agenti della CIA controllavano tale commercio. Quando i mujahidin occupavano un territorio in Afghanistan, essi ordinavano ai contadini di coltivare il papavero come forma di tassa rivoluzionaria. Attraverso il confine con il Pakistan, i leader afghani e i gruppi locali, sotto il controllo dell’Intelligence del Pakistan, operavano centinaia di laboratori dell’eroina. Durante questo decennio di operazioni di gestione dell’eroina su ampia scala, la DEA (la US Drug Enforcement Agency) di Islamabad non riuscì a imporre maggiori misure di controllo agli ufficiali USA, che s’erano rifiutati di investigare sui carichi di eroina gestiti dai loro alleati, ‘poiché la politica sul narcotraffico USA in Afghanistan era subordinata alla guerra antisovietica.’ Nel 1995, l’ex direttore della CIA per le operazioni afghane, Charles Cogan, ammise che la CIA aveva sacrificato la guerra alla droga per combattere la guerra fredda. ‘La nostra missione principale era di arrecare il maggior danno possibile ai sovietici. Non avemmo mai le risorse o il tempo di dedicarci all’investigazione del traffico di armi, e non credo che ci dobbiamo rammaricare di questo. Ogni situazione ha le sue conseguenze (…) era una conseguenza in termini di droga, sì. Ma l’obiettivo principale era stato raggiunto. I sovietici avevano lasciato l’Afghanistan.’” (13)

LA FINE DELLA GUERRA FREDDA

Alla fine della guerra fredda, le regioni dell’Asia Centrale non sono strategiche solo per la loro estese riserve di petrolio, ma perché, inoltre, producono i tre quarti dell’oppio mondiale, rappresentando proventi per miliardi di dollari per i gruppi affaristici, le istituzioni finanziarie, le agenzie d’intelligence e il crimine organizzato. Il ricavato annuale del traffico di droga della mezzaluna d’oro (tra i 100 e i 200 miliardi di dollari), rappresenta all’incirca un terzo del ricavato del traffico annuale di narcotici mondiali, stimato dall’ONU nell’ordine dei 500 miliardi di dollari. (14)

Con la disintegrazione dell’Unione Sovietica, una nuova ondata di produzione di oppio era stata scatenata. (Secondo le stime dell’ONU, la produzione di oppio in Afghanistan, nel 1998-99, – in coincidenza con la costruzione delle forze sovversive nelle ex repubbliche sovietiche – raggiunge la cifra record di 4600 tonnellate). (15)

Il potente business delle mafie nell’ex-URSS, alleate con il crimine organizzato, conta sul controllo strategico delle rotte dell’eroina. L’ISI, che aveva una estesa rete d’intelligence militare che non venne smantellata alla fine della guerra fredda. La CIA continuò a supportare la jihad islamica fuori dal Pakistan. Nuove operazioni coperte furono attuate nell’Asia centrale, nel Caucaso e nei Balcani. L’apparato militare e d’intelligence del Pakistan servì essenzialmente da “catalizzatore della disintegrazione dell’URSS e per l’emersione di sei nuovi paesi mussulmani dell’Asia centrale.” (16)

Intanto, le missioni islamiche della setta dei Wahhabiti, provenienti dall’Arabia Saudita, si erano stabilite nelle repubbliche mussulmane e nella Federazione Russa, usurpando il ruolo delle istituzioni secolari dello stato. Nonostante la sua ideologia anti-americana, il fondamentalismo islamico era largamente utile alla strategia di Washington nell’ex URSS. Dopo la ritirata delle truppe sovietiche nel 1989, la guerra civile in Afghanistan continuò intensamente. I taliban erano sostenuti dai deobandi pakistani e dal loro partito politico, la Jamiat-ul-Ulema-e-Islam (JUI). Nel 1993, il JUI entrò nella coalizione di governo della Prima Ministra Benazir Bhutto. Furono stabiliti legami tra il JUI, l’esercito e l’ISI. Nel 1995, con la caduta del governo dell’Hezb-I-Islami di Hektmatyar, a Kabul, i taliban non solo instaurarono un rigido governo islamico, ma controllavano anche “centinaia di campi di addestramento in Afghanistan e delle fazioni del JUI” (17). E il JUI, con il supporto del movimento saudita wahhabita, giocò un ruolo chiave nel reclutamento di volontari per le guerre nei Balcani e nell’ex-URSS. Il Jane Defense Weekly confermava, a tal riguardo, che “metà delle truppe e dell’equipaggiamento taliban provengono dal Pakistan, grazie all’ISI” (18). Infatti, dopo la ritirata delle truppe sovietiche, entrambe le parti nella guerra civile dell’Afghanistan continuarono a ricevere appoggio occulto da parte dell’ISI.(19) In altre parole, appoggiato dall’intelligence militare del Pakistan, che era a sua volta controllato dalla CIA, lo stato islamico dei taliban servì largamente gli interessi geopolitici degli USA. Il commercio della droga della Mezzaluna d’oro è stato, inoltre, usato per finanziare ed equipaggiare l’esercito mussulmano bosniaco (dagli inizi degli anni ’90) e l’UCK in Kossovo. Negli ultimissimi mesi, vi fu la prova che i mercenari mujahidin combattevano nelle fila dell’UCK, durante gli assalti terroristici contro la Macedonia. Senza dubbio, ciò spiega perché Washington abbia chiuso i suoi occhi sul regno di terrore imposto dai taliban e la lampante violazione dei diritti delle donne, la chiusura delle scuole per le bambine, il licenziamento delle impiegate dagli uffici del governo e il rafforzamento della legge delle punizioni della Shari’a. (20)

LA GUERRA IN CHECHENIJA

Con riguardo alla Cecenia, il principale leader dei ribelli, Shamil Basayevand Al Khattab, fu addestrato e indottrinato nei campi sponsorizzati dalla CIA, in Afghanistan e Pakistan. Secondo Yossef Bodansky, direttore della Task Force sul terrorismo e la guerra non convenzionale del Congresso USA, la guerra in Chechenija era stata pianificata durante un summit segreto dell’Internazionale HizbAllah tenutasi nel 1996 a Mogadishu, in Somalia. (21) Il summit fu seguito da Usama bin Ladin e da alti ufficiali dell’intelligence iraniana e pakistana. A tal riguardo, il coinvolgimento dell’ISI in Chechnija, “iniziò fornendo armi ed esperti ai ceceni: l’ISI e i suoi alleati radicali incitavano alla lotta in questa guerra“. (22)

La principale pipeline della Russia transita attraverso la Chechnija e il Daghestan. Nonostante l’opportunistica condanna del terrorismo islamico di Washington, i beneficiari indiretti della guerra Chechenija erano le compagnie petrolifere anglo-statunitensi, che cercavano di controllare le risorse petrolifere e le pipelines presso il Mar Caspio. I due principali eserciti dei ribelli ceceni (rispettivamente guidati da Shamil Basaev e da Emir Khattab) si stimava avessero 35000 effettivi e fossero supportati dall’ISI, che inoltre giocava il ruolo chiave di organizzatore e addestratore dell’esercito ribelle ceceno. Nel 1994, l’ISI aiutò Basaev e i suoi aiutanti, ad intraprendere un intenso indottrinamento e un addestramento alla guerriglia nella provincia di Khost, in Afghanistan, nel campo di Amir Muawia, costruito nei primi anni ’80 dalla CIA e dall’ISI, e comandato dal famoso signore della guerra afghano Gulbuddin Hekmatyar.

Nel luglio 1994, diplomatosi ad Amir Muawia, Basaev venne trasferito a Markaz-i-Dawar, un campo in Pakistan, per intraprendere un addestramento avanzato nelle tattiche di guerriglia. In Pakistan, Basaev incontrò i più alti gradi militari e dell’intelligence del Pakistan: il Ministro della Difesa Generale, Aftab Shahban Mirani, il Ministro degli Interni, Generale Naserullah Babar, e il capo della branca dell’ISI incaricata di supportare la causa islamica, General Javed Ashraf, (ora in pensione). La connessione af alto livello si rivelò veramente utile per Basayev. (23)

Dopo il suo addestramento e indottrinamento, Basaev venne assegnato a guidare gli assalti contro le truppe federali russe nella prima guerra cecena, nel 1995.

La sua organizzazione aveva anche sviluppato legami con organizzazioni criminali a Mosca, e forti legami con la mafia albanese e l’UCK. Nel 1997-98, secondo il Servizio di Sicurezza Federale Russo (FSB), “i signori della guerra ceceni hanno iniziato a comprare proprietà in Kosovo… attraverso parecchie proprietà e aziende registrate come coperture, in Jugoslavia”. (24)

L’organizzazione di Basaev era stata coinvolta in parecchi reati di rackets, traffico di narcotici, sabotaggio delle pipeline russe, rapimenti, prostituzione, traffico di dollari falsi, traffico di materiale nucleare,  legami con le piramidi collassate della mafia albanese. (25)

Accanto all’esteso riciclaggio di narcodollari, i ricavati di varie attività illecite venivano incanalate verso il reclutamento di mercenari e l’acquisto di armi. Durante il suo addestramento in Afghanistan, Shamil Basaev si collegò con il veterano comandante mujahidin saudita “al-Khattab” che aveva combattuto come volontario in Afghanistan. Dopo pochi mesi il ritorno di Basayev a Groznij, Khattab venne invitato (all’inizio del 1995) a costituire una base dell’esercito in Chechnija, per l’addestramento dei combattenti mujahidin. Secondo la BBC, la presenza di Khattab in Chechnija era stata possibile “tramite l’Organizzazione di aiuto islamico, basata in Arabia saudita, una organizzazione religiosa militante, fondando moschee in Chechnija, cui miliardari trasferivano fondi“. (26)

CONCLUSIONI

Fin dalla Guerra Fredda, Washington ha consapevolmente appoggiato Usama bin Ladan, mentre lo piazzava nella lista dei ricercati dall’FBI come il più pericoloso terrorista del mondo. Mentre i mujahidin erano occupati a combattere la guerra degli USA nei Balcani e nell’ex-URSS, l’FBI -operando come forza di polizia degli USA- conduceva una guerra interna contro il terrorismo, agendo in qualche modo indipendentemente dalla CIA, che aveva fin dalla guerra sovietico-afghana appoggiato il terrorismo internazionale con le sue operazioni coperte. Con crudele ironia, mentre la jihad islamica, descritta dalla amministrazione Bush, come “una minaccia all’America“, – che condannava per l’attacco terroristico al World Trade Centre e al Pentagono; questa stessa organizzazione islamica costituisce uno strumento chiave delle operazioni di intelligence militari degli USA, nelle operazioni nei Balcani e nell’ex-URSS. Sulla scia degli attacchi terroristici a New York e a Washington, la verità arriverà ad impedire che l’amministrazione Bush, assieme alla NATO, imponga delle operazioni militari avventuristiche che possano minacciare l’umanità.

NOTE

1. Hugh Davies, International: ‘Informers’ point the finger at binLaden; Washington on alert for suicide bombers, The Daily Telegraph, Londra, 24 Agosto 1998. 2. Fred Halliday, “The Un-great game: the Country that lost theCold War, Afghanistan”, New Republic, 25 Marzo 1996).

3. Ahmed Rashid, The Taliban: Exporting Extremism, ForeignAffairs, Novembre-Dicembre 1999.

4. Steve Coll, Washington Post, July 19, 1992.

5. Dilip Hiro, Fallout from the Afghan Jihad, Inter Press Services, 21November 1995.

6. Weekend Sunday (NPR); Eric Weiner, Ted Clark; 16 Agosto 1998.

7. Ibid.

8. Dipankar Banerjee; Possible Connection of ISI With Drug Industry, India Abroad, 2 Dicembre 1994.

9.Ibid 
8. Cfr Diego Cordovez and Selig Harrison, Out of Afghanistan: TheInside Story of the Soviet Withdrawal, Oxford university Press, New York, 1995, e anche Cordovez e Harrison inInternational Press Services, 22 Agosto 1995.

10. Alfred McCoy, Drug fallout: the CIA’s Forty Year Complicity inthe Narcotics Trade. The Progressive; 1 Agosto 1997.

11. Ibid.

12. Ibid.

13. Douglas Keh, Drug Money in a changing World, Technicaldocument no 4, 1998, Vienna UNDCP, p. 4.

14.Cfr. Report ofthe International Narcotics Control Board for 1999, E/INCB/1999/1, United Nations Publication, Vienna 1999, p49-51.
 
15. Richard Lapper, UN Fears Growth of Heroin Trade, Financial Times, 24 Febbraio 2000.

16. Report of the International Narcotics Control Board, op cit, p49-51, e Richard Lapper, op. cit., International Press Services, 22 Agosto 1995.

17. Ahmed Rashid, The Taliban: Exporting Extremism, ForeignAffairs, Novembre-Dicembre, 1999, p. 22., in Christian Science Monitor, 3 Settembre 1998.

18. Tim McGirk, Kabul learns to live with its bearded conquerors, The Independent, London, 6 Novembre 1996.

19.  K. Subrahmanyam, Pakistan is Pursuing Asian Goals, IndiaAbroad, 3 Novembre 1995.

20. Levon Sevunts, Who’s calling the shots?: Chechen conflict finds Islamic roots in Afghanistan and Pakistan, The Gazette, Montreal, 26 Ottobre 1999.

21. Ibid.

22. Ibid.

23. Cfr. Vitaly Romanov e Viktor Yadukha, Chechen Front Moves To Kosovo, Segodnia, Mosca, 23 Febbraio 2000.

24. The European, 13 Febbraio 1997.

25. Itar- Tass, 4-5 Gennaio 2000.

26. BBC, 29 Settembre 1999.


About the author:

Michel Chossudovsky is an award-winning author, Professor of Economics (emeritus) at the University of Ottawa, Founder and Director of the Centre for Research on Globalization (CRG), Montreal, Editor of Global Research. He has taught as visiting professor in Western Europe, Southeast Asia, the Pacific and Latin America. He has served as economic adviser to governments of developing countries and has acted as a consultant for several international organizations. He is the author of 13 books. He is a contributor to the Encyclopaedia Britannica. His writings have been published in more than twenty languages. In 2014, he was awarded the Gold Medal for Merit of the Republic of Serbia for his writings on NATO's war of aggression against Yugoslavia. He can be reached at [email protected]

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