Obama programma di attaccare la Siria o di portare avanti le trattative con l’Iran?

Vi sono diversi modi d’interpretare la decisione dell’amministrazione di Obama del 31 agosto 2013, di chiedere al Congresso di votare sul cosiddetto ‘attacco limitato’ contro la Siria. Queste interpretazioni devono essere analizzate per vedere quali fossero le intenzioni degli Stati Uniti,  quando minacciarono la Siria di una guerra diretta…

La prima interpretazione è che il presidente Obama non voleva essere l’unico responsabile di un attacco illegale e unilaterale degli Stati Uniti ai siriani. Il suo obiettivo era avere l’appoggio del Congresso degli Stati Uniti, sostenendo di avere il mandato democratico dei rappresentanti eletti dal popolo statunitense e fare in modo che ogni implicazione e causa legale non dovesse riguardare soltanto lui. Facendo in modo che il Congresso degli Stati Uniti fosse complice della sua amministrazione presidenziale, Obama poteva condividere le accuse con la Camera dei Rappresentanti e il Senato degli Stati Uniti. In altre parole, Obama voleva assicurarsi che avrebbe avuto qualche protezione prima di violare palesemente il diritto internazionale, nascondendosi dietro i legislatori statunitensi e formulando un certo tipo di ragionamento attraverso ciò. Con l’approvazione del Congresso degli Stati Uniti, l’amministrazione Obama poteva rivendicare di aver seguito la volontà dei rappresentanti del popolo statunitense, e che non era responsabile di eventuali crimini di guerra. Il Congresso degli Stati Uniti poteva anche sostenere questa posizione e opporsi a qualsiasi appello, di altre potenze mondiali e della comunità internazionale, nel ritenere legalmente responsabili i dirigenti statunitensi.

La ‘linea rossa’ di Obama contro l’uso di armi chimiche figura in primo piano nel dibattito sulla natura delle minacce degli Stati Uniti. Alcuni credono che il presidente Obama fosse semplicemente imbarazzato e cercasse di salvare la faccia facendo rispettare alla Siria la linea rossa che aveva tirato. Questo punto di vista, tuttavia, evita il fatto che il governo degli Stati Uniti ha ripetutamente cercato di accusare la Siria dell’impiego di armi chimiche, per quasi un anno prima dell’attacco chimico a Ghuta. Prima di tirarsi indietro, l’amministrazione Obama non era in realtà riluttante nel dire che la linea rossa delle armi chimiche era stata oltrepassata, cercando ogni opportunità per dire che la linea rossa era stata passata.

Nonostante il fatto che l’amministrazione Obama abbia falsamente affermato di non aver bisogno dell’autorizzazione del Congresso degli Stati Uniti per avviare l’aggressione, e anche se John Kerry apparve molto entusiasta nell’attaccare la Siria, un’altra interpretazione è che il presidente Obama e il segretario di Stato degli Stati Uniti Kerry, volessero ritrarsi dall’ordinare al Pentagono di attaccare i siriani. Coloro che credono in questa interpretazione, pensano che il governo degli Stati Uniti bluffasse nel voler attaccare la Siria o che volesse fare marcia indietro dall’attacco sfruttando il voto negativo del Congresso degli Stati Uniti, per salvarsi la faccia.

Altri punti di vista indicano che gli Stati Uniti fossero sul punto di esser coinvolti direttamente, perché gli insorti perdevano la guerra. L’intervento di Washington mirava ad equilibrare il campo sia per prolungare i combattimenti che per aprire, infine, la porta ad un eventuale cambio di regime a Damasco. L’enfasi sulla natura limitata degli attacchi, da parte dell’amministrazione Obama, potrebbe esser stato non solo un mezzo per far passare la guerra presso la popolazione degli Stati Uniti e l’opinione pubblica internazionale, ma anche un modo per far sì che gli alleati della Siria non reagissero. Questo punto porta alla successiva visione.

Un’altra interpretazione è che Obama e Kerry comprendessero e volessero una flessibilità dell’azione, cercando di vedere come i principali alleati della Siria; Iran, Russia e Cina avrebbero reagito alle minacce militari degli Stati Uniti. Le minacce d’intervento militare in Siria sembravano testare la volontà di Russia, Iran e Cina. Inviati e messaggi furono spediti a queste potenze eurasiatiche, con particolare attenzione per Mosca e Teheran, per vedere quali fossero state le loro reazioni.

Obama ha testato la reazione dell’Asse eurasiatico

Si comprese che Iran, Hezbollah e gli alleati iracheni e palestinesi avrebbero militarmente reagito ad un attacco degli Stati Uniti contro la Siria. Si comprese anche che la postura di Washington contro la Siria era una prova di forza contro gli alleati della Siria, in particolare Teheran. Secondo Walter Posch, esperto dell’Iran presso l’Istituto tedesco per gli affari internazionali e di sicurezza (SWP), gli iraniani non furono intimiditi dall’atteggiamento militare statunitense. Posch la mette così: “Se fai una dimostrazione di forza verso gli iraniani, di solito dicono che bluffi.” Secondo Posch, Teheran era stata informata da Washington, direttamente o tramite vie indirette, della preparazione degli Stati Uniti dell’attacco alla Siria.

Durante la sua visita a Teheran, Il sultano dell’Oman Qabus avrebbe recato un messaggio di qualche tipo di Obama all’Iran sulla Siria. Il sultanato dell’Oman è noto agire da intermediario tra Teheran e Washington. La visita del sultano Qabus a Teheran ebbe luogo nella stessa finestra temporale in cui Jeffry Feltman, sottosegretario di Ban Ki-moon per gli affari politici presso le Nazioni Unite, arrivava a Teheran. Prima del suo ingresso nelle Nazioni Unite, Feltman era un diplomatico degli Stati Uniti in Israele, nell’Iraq occupato, in Libano e prima fu assistente del segretario USA per il Medio Oriente e il Nord Africa. La ragione ufficiale della visita di Jeffery Feltman in Iran, erano degli incontri bilaterali con funzionari iraniani sul conflitto siriano. La sua visita a Teheran avvenne formalmente per conto delle Nazioni Unite, ma la sua visita era anche legata al governo degli Stati Uniti. In un modo o nell’altro, aveva inviato un messaggio di Washington a Teheran sulla Siria, che in sostanza voleva vedere cosa Teheran avrebbe fatto nel caso di un limitato attacco degli USA alla Siria.

Le risposte che l’amministrazione Obama ricevette dall’Iran e dagli altri alleati della Siria, potrebbero non esser state quelle che i funzionari statunitensi si attendevano. Fu riportato, subito dopo che gli Stati Uniti avevano detto di voler attaccare la Siria, che Hezbollah libanese aveva iniziato a mobilitare le proprie forze per una guerra generale contro gli Stati Uniti. In Iraq varie milizie minacciarono di attaccare obiettivi statunitensi e di danneggiare gli interessi economici degli Stati Uniti. Il Cremlino aveva inviato la nave da ricognizione SSV-201 Prjazove presso le coste siriane, per raccogliere informazioni sui movimenti militari statunitensi e sostenere la flotta russa nel Mediterraneo orientale. Un ufficiale russo disse ad Interfax che le caratteristiche della forza navale nel Mediterraneo orientale erano state modificate per adattare la posizione militare della Russia all’evoluzione della situazione regionale. Vladimir Putin aveva anche promesso di aiutare la Siria contro gli Stati Uniti e definiva pubblicamente John Kerry un bugiardo. La Cina raggiungeva la Russia inviando la sua nave d’assalto anfibio Jinggangshan nella zona. Inoltre, il governo degli Stati Uniti avrebbe dovuto affrontare la formidabile opposizione al vertice del G20, tenutosi in Russia, dove Pechino e Mosca furono sostenute da Argentina, Brasile, India, Indonesia e Sud Africa, nella loro opposizione ad un attacco degli Stati Uniti contro la Siria.

Guerra: l’opzione peggiore degli USA

Il governo degli Stati Uniti sapeva che un attacco alla Siria sarebbe divenuto un vero disastro dalle conseguenze imprevedibili. Se la Siria veniva attaccata, come minimo il governo statunitense avrebbe dovuto dimenticarsi qualsiasi accordo con l’Iran o l’allentamento dei rapporti con la Federazione Russa. Aggiungendo così l’opposizione della Cina alle Nazioni Unite e l’agitazione di Pechino sul cosiddetto “Perno nel Pacifico” di Obama al quadro. Se l’amministrazione Obama  attaccava la Siria, si sarebbe arrivati ad un grande confronto, provocando perdite politiche, economiche, diplomatiche, strategiche e militari agli statunitensi.

La Siria non sarebbe stata un facile bersaglio dell’attacco diretto degli Stati Uniti. I siriani avrebbero utilizzato un intero arsenale di armamenti poco pratico e inapplicabile contro la guerriglia. I missili siriani avrebbero inflitto gravi danni a tutte le unità navali statunitensi nel Mediterraneo orientale che fossero giunte troppo vicine alle coste siriane, e le unità antiaeree siriane avrebbero impedito agli Stati Uniti di avere il dominio dei cieli siriani. Damasco avrebbe reagito e ci sarebbe stata un’escalation e l’espansione regionale dei combattimenti coinvolgendo subito Libano, Israele, Giordania, Turchia, Iraq e Iran.

Inoltre, quando Obama minacciava di attaccare la Siria, gli Stati Uniti non erano nella posizione adatta per attaccarla. Sia gli Stati Uniti che la NATO non avevano nemmeno unità militari abbastanza vicine alla Siria per bombardare la Siria in modo sicuro, senza essere battuti da Damasco. Il meglio che l’assalto del Pentagono avrebbe potuto fare, con il dispiegamento che esso  aveva in atto, era provare a cambiare l’equilibrio sul campo tra le parti in lotta in Siria. Il governo degli Stati Uniti può anche aver pianificato l’assassinio del Presidente Bashar al-Assad e dei funzionari militari e civili siriani chiave, nell’ambito del cosiddetto “attacco limitato”.

Quali erano i piani del governo degli Stati Uniti?

Cosa avrebbero cercato di fare gli Stati Uniti, sapendo che non potevano iniziare una guerra contro la Siria? Indipendentemente da quale di questi punti di vista sia corretto, il risultato delle minacce del presidente Obama alla Siria fu che l’Iran e gli Stati Uniti ebbero dei colloqui diretti e la Siria  accettava di distruggere il proprio arsenale di armi chimiche. La Siria viene essenzialmente disarmata del suo deterrente strategico contro l’arsenale biologico, chimico e nucleare d’Israele, cosa che appare importante in una guerra della Siria contro Israele o in una guerra regionale USA-Iran. Nello stesso tempo, l’amministrazione Obama sembra diretta verso un grande accordo e una svolta diplomatica con l’Iran in ciò che potrebbe essere paragonato al restauro di Richard Nixon delle relazioni con la Repubblica popolare cinese, o nuovo “momento Nixon-Mao”.

Ciò che si sa ora è che il presidente Obama aveva inviato una lettera segreta a Teheran per aprire un dialogo e dei negoziati con l’omologo Hassan Ruhani, il nuovo presidente dell’Iran, mentre  minacciava di attaccare la Siria. L’amministrazione Ruhani ha effettivamente iniziato a parlare, un risultato utile a Stati Uniti e Iran, e il governo iraniano ha anche appoggiato la proposta della Russia a che la Siria distruggesse le sue armi chimiche per neutralizzare le minacce degli Stati Uniti. John Kerry e Muhammad Javad Zarif, il nuovo ministro degli esteri dell’Iran, hanno avuto un incontro a New York, il 26 settembre 2013. Il giorno dopo, Obama e Ruhani hanno avuto una conversazione telefonica diretta, il primo colloquio diretto tra i leader statunitense e iraniano dal 1979. I colloqui con Teheran e il disarmo chimico siriano sono il risultato delle minacce di Obama alla Siria, o sono l’obiettivo calcolato delle minacce di Obama? Se Russia, Iran e Cina hanno formato una formidabile opposizione che avrebbe impedito gli attacchi degli Stati Uniti contro la Siria, e se la Siria sia stata in grado di proteggersi, sembra certo che avrebbe scelto questa via.

La ripubblicazione è gradita in riferimento alla rivista on-line della Strategic Culture Foundation.
 
Traduzione di Alessandro Lattanzio.

About the author:

An award-winning author and geopolitical analyst, Mahdi Darius Nazemroaya is the author of The Globalization of NATO (Clarity Press) and a forthcoming book The War on Libya and the Re-Colonization of Africa. He has also contributed to several other books ranging from cultural critique to international relations. He is a Sociologist and Research Associate at the Centre for Research on Globalization (CRG), a contributor at the Strategic Culture Foundation (SCF), Moscow, and a member of the Scientific Committee of Geopolitica, Italy.

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