Medio Oriente: lo zio Sam indietreggia mentre l’orso russo avanza

L’egemonia statunitense in Medio Oriente sta declinando e gli alleati degli USA nella regione stanno cominciando a prendere in considerazione delle alternative ai tradizionali legami con Washington.

Non facciamoci illusioni: la Guerra Fredda non è mai finita per lo “Zio Sam”. Gli USA hanno lavorato strategicamente per indebolire sia la Federazione Russa che la Repubblica Popolare Cinese. La strategia di Washington in Medio Oriente ed i suoi atti ostili contro Iran e Siria sono parte integrante della sua linea di attacco contro Mosca e Pechino.

Nonostante gli sforzi dell’Amministrazione Obama, il ruolo decisivo che gli Stati Uniti hanno svolto dal 1945 in poi nell’instabile Medio Oriente, vessato dalle costanti ingerenze straniere e dalle meschine rivalità tra dinastie e potenze regionali, si sta ridimensionando. I venti impetuosi che spirano in quell’area stanno cancellando le sue vecchie tracce, mentre gli avvenimenti regionali e mondiali le stanno sostituendo con altre.
La Pax Americana è morta. Va comunque detto che non ha mai avuto molto a che fare con la pace. Questo termine indica, nel contesto mediorientale, il periodo di dominio statunitense nella regione, iniziato dopo la Seconda Guerra Mondiale e che ha raggiunto il suo apice nel 1978. L’anno seguente si produsse la Rivoluzione Islamica Iraniana. Il punto di non ritorno nel costante declino dell’influenza di Washington è stato segnato pochi decenni dopo dai monumentali errori del Presidente George W. Bush Jr.

Il costante declino degli USA in Medio Oriente

Condoleeza Rice, segretaria di Stato dell’Amministrazione Bush Jr. era molto sicura che l’egemonia di Washington si sarebbe ulteriormente estesa in tutto il Medio Oriente. Durante la guerra israeliana contro il Libano del 2006 dichiarò trionfalmente che la mappa mediorientale sarebbe cambiata definitivamente a vantaggio degli USA. Ma Israele perse la guerra e le cose non andarono secondo i piani. L’influenza della grande potenza a stelle e strisce iniziò a diminuire, mentre quella dei suoi rivali stava aumentando.

Il popolo palestinese (sempre nel 2006, ndt) elesse democraticamente la propria rappresentanza, scegliendo Hamas. Questa organizzazione islamica non solo ottenne dagli elettori il controllo di Gaza, ma lo mantenne anche dopo che gli Stati Uniti cospirarono con Israele, Arabia Saudita, l’Egitto di Hosni Mubarak, il caudillo palestinese Mohammed Dahlan e con il leader della ANP, Mahmoud Abbas (il cui ruolo è quasi simbolico), per rovesciare il Governo del movimento islamico a Gaza.

Il blocco economico, il sabotaggio politico, la mini guerra contro Fatah e la serie di aggressioni armate intraprese da Israele non sono riusciti a rovesciare il potere di Hamas nella piccola fascia di terra sul Mar Mediterraneo.

L’influenza di Hezbollah (“Partito di Dio”, ndt) in Libano è aumentata in modo spettacolare. L’Alleanza 14 marzo, organizzazione libanese diretta da Hariri e patrocinata da Washington e alleati contro Hezbollah, si è dimostrata impotente rispetto al suo compito di neutralizzare il Partito di Dio ed i suoi alleati politici libanesi riuniti nell’Alleanza 8 marzo. Anche se diversi rapporti finalizzati alla disinformazione politica continuano a diffondere l’idea che l’intervento di Hezbollah in Siria avrebbe indebolito e minato la popolarità dell’organizzazione in Libano è vero esattamente il contrario. L’intelligence israeliana, in un rapporto firmato dal Mossad, ha dovuto ammettere che in realtà per Hezbollah è iniziata una vera e propria età dell’oro.

Tenendo conto di tutto ciò, non si vede applicato da nessuna parte il piano statunitense di ridefinire le frontiere mediorientali, che ha l’obiettivo di creare Stati più piccoli e quindi più facilmente controllabili da Washington, al fine di mantenere il suo ordine imperiale. Ma non si può negare che gli incendi causati da questo progetto continuino ad ardere in Siria e Iraq e che il piano abbia raggiunto dei risultati, per esempio, nella divisione del Sudan e nella destabilizzazione del Nord Africa.

Un impero che si sta sfaldando

Gli USA non hanno neutralizzato i loro due principali avversari in Medio Oriente. È fallito l’obiettivo del cambio di regime a Damasco e Washington non ha scatenato il potere bellico del Pentagono sulla Siria. Un accordo transitorio tra Stati Uniti e Iran sul nucleare è stato raggiunto a Ginevra.

Le ragioni dello sfaldamento del potere statunitense non sono né la decisione di Washington di non intraprendere una guerra contro la Siria né quella di arrivare finalmente a un accordo con gli iraniani. Questo potere era già in declino. L’Amministrazione Obama ha accettato di accordarsi con Siria e Iran per cercare di mantenere l’influenza nordamericana in Medio Oriente e rallentare il suo declino.

Gli alleati e “clienti” degli USA nel frattempo lanciano fulmini e saette, sono impauriti. Visto il declino di Washington stanno a poco a poco diversificando le loro relazioni internazionali. Da Tel Aviv a Riad, i governi finora fedeli agli Stati Uniti si sono resi conto che l’ombrello protettivo della grande potenza sta cominciando a fare acqua e si sono messi a cercare alternative al patrocinio nordamericano.

L’orso russo sta per tornare sul delta del Nilo?

L’Amministrazione USA ha dichiarato il 9 ottobre 2013 che avrebbe tagliato parte della sua assistenza militare all’Egitto. Questo passo è stato ritenuto parte integrante della ridefinizione della politica nordamericana in Medio Oriente. L’esercito egiziano lo ha criticato, considerandolo un atto che ostacolerebbe e indebolirebbe le forze armate del Paese nordafricano nel momento in cui sta lottando contro elementi destabilizzatori, soprattutto nella Penisola del Sinai.

L’aiuto statunitense all’esercito egiziano è diminuito. L’Arabia Saudita e le petro-monarchie del Golfo Persico sono state segretamente sub-contrattate per soppiantare l’assistenza d’oltreoceano. Ben fatto dal punto di vista di Washington, che non si può più permettere di finanziare le forze armate del Cairo. Anche l’Egitto si rende conto dello stato di decadenza in cui versano gli USA e ha cominciato a cercare alternative al patrocinio della grande potenza.

L’11 novembre 2013, circa un mese dopo la parziale sospensione degli aiuti militari da parte di Washington, una nave da guerra lanciamissili russa, la Varyag, ha fatto scalo nel porto egiziano di Alessandria, nel Mar Mediterraneo. Alcuni giorni dopo la Boris Butoma, nave ausiliaria dell’armata russa adibita all’approvvigionamento, ha attraccato in quello di Safaga, sempre in Egitto.  Nessuna nave della Russia aveva più fatto scalo in Egitto dal 1992 e Mosca non aveva una presenza militare significativa nel Paese nordafricano dai tempi dell’era sovietica durante la Guerra Fredda.

Il 13 novembre 2013 il Cremlino ha affiancato la diplomazia agli sbarchi delle sue navi. Il ministro russo degli Esteri Sergei Lavrov e quello della Difesa Sergei Shoigu si sono recati in Egitto accompagnati da folte delegazioni. Lavrov ha definito “storico” questo avvenimento. Il Cremlino ha inviato i due ministri al Cairo per tastare il polso all’Egitto.

Le domande da porsi per capire le reali intenzioni del Cairo sono diverse: le alte cariche egiziane stanno tendendo la mano a Mosca per fare pressione su Washington o perché sperano veramente di trovare nella Russia un interlocutore alternativo? In altre parole: L’Egitto si sta rivolgendo al Cremlino per mercanteggiare con Casa Bianca e Dipartimento di Stato oppure per svincolarsi dal loro controllo e dalle loro pressioni?

Il segretario di Stato John Kerry è volato al Cairo dopo la visita russa, intenzionato a preservare l’influenza statunitense. Il regime egiziano, a quanto si sa, vuole ottenere flessibilità e vantaggi per depotenziare il controllo statunitense ed evitare di crollare assieme all’ordine imperialista della grande potenza americana. La caduta dei Fratelli Musulmani e la dissoluzione dell’alleanza regionale in Siria hanno inviato un messaggio negativo a tutti gli alleati e clienti degli USA. Tutti in Medio Oriente, sia i corrotti che i giusti, sanno oggi più che mai che Washington non li proteggerà. Si sono anche resi conto che chi si è alleato con Mosca e Teheran è rimasto in piedi.

La resurrezione della Russia in Medio Oriente

La Federazione Russa è già diventata il secondo fornitore di armi all’Egitto dopo che l’Amministrazione degli Stati Uniti d’America ha deciso di ridurre il suo aiuto militare al Cairo. Mosca sta semplicemente approfittando del ritiro degli USA per consolidare e migliorare i suoi rapporti commerciali con l’Egitto. Ma i russi non vendono armi soltanto al grande Paese nordafricano. L’Iraq ha firmato nel 2012 un contratto per forniture belliche da parte del Cremlino, che è così diventato il secondo fornitore di armi a Baghdad dopo gli Stati Uniti.

Le amichevoli relazioni della Federazione Russa con l’Iran e con tutti gli altri Stati del Blocco di Resistenza (formato da Iran, Siria, Hezbollah ed alleati, esponenti palestinesi e in misura crescente dall’Iraq, ndt) hanno procurato al gigante euro-asiatico un certo vantaggio in Israele. Il gran numero di immigrati russi e di russofoni presenti nello Stato ebraico ha contribuito all’influenza della Russia. La presenza di una numerosa comunità russofona in Israele è una delle ragioni per le quali i politici dello Stato ebraico si recano in visita nel Paese euro-asiatico e si avvalgono di “sponsor” russi durante le loro campagne elettorali. Mosca ha inoltre fatto parte dell’inetto Quartetto per il Medio Oriente, costituito nel 2002 e che si presume abbia il compito di  mediare tra israeliani e palestinesi.

L’influenza di Mosca nella regione ha fatto costanti progressi dal 2011 ad oggi. La Federazione Russa ha rafforzato le sue relazioni con il Libano e iniziato un dialogo strategico con Hezbollah.

I siriani sono criticamente grati alla Russia per il suo sostegno. La Federazione Russa, insieme all’Iran, ha avuto una notevole influenza su Damasco e l’ha aiutata a resistere al tentativo di cambio di regime. L’attacco terroristico contro l’ambasciata di Mosca nella capitale siriana testimonia l’importanza del ruolo svolto dalla potenza euro-asiatica.

Sarebbe un errore pensare che l’incremento della presenza russa in Medio Oriente rappresenti una sorta di “riapparizione” di questo Paese in una regione, quella mediorientale, che ha sempre avuto molti rapporti con la vicina Federazione Russa. L’influenza di Mosca sta aumentando nella misura in cui quella di Washington sta diminuendo.

Mahdi Darius Nazemroaya, sociologo e analista geopolitico, ha vinto vari premi per le sue opere.

Traduzione di Sandro Scardigli per l’Associazione Politica e Culturale MARX XXI


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About the author:

An award-winning author and geopolitical analyst, Mahdi Darius Nazemroaya is the author of The Globalization of NATO (Clarity Press) and a forthcoming book The War on Libya and the Re-Colonization of Africa. He has also contributed to several other books ranging from cultural critique to international relations. He is a Sociologist and Research Associate at the Centre for Research on Globalization (CRG), a contributor at the Strategic Culture Foundation (SCF), Moscow, and a member of the Scientific Committee of Geopolitica, Italy.

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