La roadmap della strategia nucleare Usa

La roadmap della nuova strategia nucleare Usa è dunque tracciata: lo annuncia nella prefazione al Nuclear Posture Review Report 2010 il segretario alla Difesa Robert Gates, anche lui rinnovatosi passando dall’amministrazione Bush a quella Obama. Che cosa è cambiato? Anzitutto la situazione internazionale: «L’Unione sovietica e il Patto di Varsavia sono scomparsi e tutti gli ex membri non-sovietici del Patto di Varsavia sono ora membri della Nato». La Russia «non è un nemico», ma un partner degli Stati uniti nell’affrontare «altre minacce emergenti». Il presidente Obama ha infatti chiarito che «il più immediato ed estremo pericolo è oggi il terrorismo nucleare».

Qui niente di nuovo rispetto alla strategia dell’amministrazione Bush, che al comunismo (nemico numero uno nella guerra fredda) aveva sostituito il terrorismo, «il nemico oscuro che si nasconde negli angoli bui della Terra».  Oggi, si afferma nel rapporto del Pentagono, «Al Qaeda e i loro alleati estremisti cercano di procurarsi armi nucleari». Quindi, «anche se la minaccia di una guerra nucleare globale è divenuta remota, è aumentato il rischio di attacco nucleare». Si agita così lo spettro di un 11 settembre nucleare, collegato all’«altra pressante minaccia»: la proliferazione nucleare. Altri paesi, soprattutto quelli «in contrasto con gli Stati uniti», possono dotarsi di armi nucleari. Si accusa quindi l’Iran, e in subordine la Corea del nord, di perseguire ambizioni nucleari, violando il Trattato di non-proliferazione (Tnp), accrescendo l’instabilità della propria regione e spingendo i paesi limitrofi a prendere in considerazione «proprie opzioni di deterrenza nucleare»  (espressione diplomatica per giustificare, senza nominarlo, il fatto che Israele possiede armi nucleari e non aderisce al Tnp).

Su questo sfondo sono chiari gli obiettivi della nuova strategia: anzitutto mantenere la supremazia nucleare statunitense, stabilendo con il nuovo Start (firmato ieri a Praga) uno status quo con la Russia, l’altra maggiore potenza nucleare. Il trattato non limita il numero delle testate nucleari operative nei due arsenali, ma solo le «testate nucleari dispiegate», ossia pronte al lancio su vettori strategici con gittata superiore ai 5.500 km: il tetto viene stabilito in 1.550 per parte, ma è in realtà superiore poiché ciascun bombardiere pesante viene contato come una singola testata anche se ne trasporta venti o più.  Siamo ben lungi dal disarmo nucleare. Ciascuna delle due parti non solo manterrà pronto al lancio un numero di testate nucleari in grado di spazzare via la specie umana dalla faccia della Terra, ma potrà continuare a potenziare qualitativamente le proprie forze nucleari.

Nel Nuclear Posture Review si precisa che gli Stati uniti, pur non sviluppando nuovi tipi di testate nucleari, rinnoveranno il proprio arsenale attraverso sostituzioni di componenti. Sarà quindi «rafforzata la base scientifica e tecnologica, vitale per la gestione dell’arsenale». A tal fine sono previsti «accresciuti investimenti nel complesso degli impianti e del personale  addetti alle armi nucleari». Lo stesso, ovviamente, potrà fare la Russia, pur disponendo di minori mezzi economici. Gli Usa cercheranno però di acquisire un ulteriore vantaggio, sviluppando nuovi tipi di vettori strategici (non limitati dal nuovo Start) e realizzando in Europa lo «scudo» anti-missili (restato fuori dell’accordo): un sistema che, una volta messo a punto, permetterebbe loro di neutralizzare almeno in parte la capacità delle forze nucleari strategiche russe. Riguardo alla Cina, gli Usa si dichiarano «preoccupati per i suoi sforzi di modernizzazione militare, compresa quella qualitativa e quantitativa dell’arsenale nucleare».

Allo stesso tempo gli Stati uniti, con il summit del 12 aprile sul Tnp, si prefiggono di rafforzare il regime di «non-proliferazione» così come è concepito a Washington: mantenere immutato l’attuale «club nucleare» di cui sono membri, oltre alle due maggiori potenze, Francia, Gran Bretagna, Cina, Israele (in incognito), India e Pakistan. Gli Stati uniti, mentre si impegnano a non usare armi nucleari contro gli stati che non le posseggono e si attengono al Tnp, lasciano intendere che si riservano il diritto del first strike per impedire che un paese come l’Iran possa costruirle. Ben diverso l’atteggiamento verso gli alleati. Nel Nuclear Posture Review si conferma che «rimane in Europa un piccolo numero di armi nucleari Usa» (stimato in circa 500, di cui 90 in Italia), precisando che «i membri non-nucleari della Nato partecipano alla pianificazione nucleare e posseggono aerei specificamente configurati, capaci di trasportare armi nucleari». Si ammette così, in un documento ufficiale, che i primi a violare il Tnp sono gli Stati uniti, i quali forniscono armi nucleari a paesi non-nucleari, e i loro alleati, Italia compresa, i quali violano l’art. 2 del Tnp: «Ciascuno degli stati militarmente non-nucleari si impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari, né il controllo su tali armi, direttamente o indirettamente».


About the author:

Manlio Dinucci est géographe et journaliste. Il a une chronique hebdomadaire “L’art de la guerre” au quotidien italien il manifesto. Parmi ses derniers livres: Geocommunity (en trois tomes) Ed. Zanichelli 2013; Geolaboratorio, Ed. Zanichelli 2014;Se dici guerra…, Ed. Kappa Vu 2014.

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