I missionari dell’Africom

L’arte della guerra

A prima vista sembrano missionari comboniani. Sono invece i militari dell’Africom, il Comando Africa degli Stati uniti. A Gibuti curano i poveri, mentre in Etiopia costruiscono scuole e pozzi e, nel Malawi, affrontano un’emergenza umanitaria. Queste e molte altre opere di bene realizza l’Africom. «L’America ha la responsabilità di lavorare con voi come partner», ha detto il presidente Obama nello «storico» discorso dell’11 luglio 2009 in Ghana, garantendo che il Comando Africa avrebbe contribuito anzitutto a «risolvere pacificamente i conflitti». E assicurando che «l’America non cercherà di imporre alcun sistema di governo a nessun’altra nazione», poiché «la verità essenziale della democrazia è che ogni nazione determini il proprio destino». Venti mesi dopo, il 19 marzo 2011, l’Africom ha lanciato l’operazione Odyssey Dawn, la prima fase della guerra il cui reale scopo è rovesciare il governo di Tripoli per imporre alla Libia (paese con le maggiori riserve petrolifere dell’Africa) un governo gradito a Washington. Obama ha anche detto che gli Stati uniti sono impegnati a sostenere in Africa «forti e durature democrazie», poiché «lo sviluppo dipende dal buon governo». Compito che l’Africom attua formando in Africa «forze militari partner, professionali e capaci, per creare una situazione stabile e sicura a sostegno della politica estera Usa». Contribuisce cioè al buon governo in Africa, facendo leva su quei vertici militari che Washington ritiene affidabili o conquistabili. Molti uf-ficiali vengono formati nel Centro di studi strategici per l’Africa e in vari programmi, soprattutto l’Acota attraverso cui sono stati addestrati circa 50mila istruttori e soldati africani. Stesso scopo hanno le esercitazioni militari congiunte, come l’Africa Lion attualmente in corso in Ma-rocco, dove sono sbarcati 2mila marines. L’esercitazione, cui partecipano 900 militari marocchini, è diretta da un comando congiunto mobile (Djc2) inviato dallo U.S. Army Africa, il quartier generale di Vicenza delle forze terrestri AfriCom, collegato a quello delle forze navali con sede a Napoli. Il Djc2, spiega un ufficiale, può essere dispiegato «in qualsiasi condizione, in qualsiasi parte del continente». Anche se il quartier generale del Comando Africa resta a Stoccarda, data la riluttanza di quasi tutti i paesi africani ad ospitarlo, e Obama assicura che esso «non mira ad avere un punto d’appoggio in Africa», l’Africom ha già qui una forza permanente: la Task force congiunta del Corno d’Africa, circa 2mila uomini con base a Gibuti, che conduce operazioni (in gran parte segrete) in diversi paesi. L’Africom ha anche diverse «Stazioni per la partnership in Africa»: navi da guerra che vanno di porto in porto, funzionando da basi mobili in cui vengono addestrati i militari africani. Scali preferiti quelli dell’Africa occidentale, regione ricca di petrolio e altre preziose risorse, dove la fregata lanciamissili Robert G. Bradley ha visitato  in aprile Capo Verde e Senegal. Per l’addestramento (e per operazioni segrete), l’Africom si avvale anche di compagnie militari private, come le famigerate DynCorp e Xe Services, pagate con il fondo di un miliardo di dollari istituito dal Dipartimento di stato per «il mantenimemto della pace in Africa».   


Articles by: Manlio Dinucci

About the author:

Manlio Dinucci est géographe et journaliste. Il a une chronique hebdomadaire “L’art de la guerre” au quotidien italien il manifesto. Parmi ses derniers livres: Geocommunity (en trois tomes) Ed. Zanichelli 2013; Geolaboratorio, Ed. Zanichelli 2014;Se dici guerra…, Ed. Kappa Vu 2014.

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